martedì 27 novembre 2012

NEEDLE AND WAVES



“Quiet descended on her, calm, content, as her needle, drawing the silk smoothly to its gentle pause, collected the green folds together and attached them, very lightly, to the belt. So on a summer's day waves collect, overbalance, and fall; collect and fall; and the whole world seems to be saying "that is all" more and more ponderously, until even the heart in the body which lies in the sun on the beach says too, that is all. Fear no more, says the heart, committing its burden to some sea, which s i g h s collectively for all sorrows, and renews, begins, collects, lets fall. And the body alone listens to the passing bee; the wave breaking; the dog barking, far away barking and barking.”  (V.Woolf, Mrs Dalloway)


Virginia Woolf


La pace discese su di lei, era calma, contenta, mentre l'ago, con delicatezza, tirava il filo di seta fino alla pausa gentile, e raccogliendo le pieghe le riprendeva insieme leggere, intorno alla vita. Così si raccolgono, si sollevano, e ricadono, si raccolgono e ricadono ancora le onde in un giorno d’estate; e il mondo intero sembra che dica « è tutto», finché anche il cuore, che sta nel corpo disteso sulla spiaggia al sole, dice, è tutto. Non temere, dice il cuore. Non temere, il cuore dice, affidando il suo fardello al mare, che sospira per tutte le pene, e riprende, e ricomincia, e si raccoglie, e ricade. Il corpo solitario ascolta l’ape che ronza, l’onda che si spezza, il cane che abbaia, abbaia e abbaia in lontananza.

martedì 2 ottobre 2012

Dedicato a chi si lamenta di non ricordare i sogni



The psychology of dream analysis, cortometraggio del 2002 di Rian Johnson, il regista di Looper. Un'ottima e originale idea realizzata con un budget ridicolo.

Una ragazza che non riesce ad avere sogni propri, ogni notte vede e vive quelli di un uomo, sempre lo stesso... un giorno lo incontra per caso e iniziano una relazione. Tramite la sua attività onirica lei osserva il loro rapporto crescere.
Purtroppo lo vede anche sfiorire e morire.
Finale inaspettato e geniale, come l'idea nella sua totalità.

Di seguito, l'articolo pubblicato sull'Atlantic

Buona Visione!!

http://www.theatlantic.com/video/archive/2012/09/the-psychology-of-dream-analysis-an-early-short-film-from-the-director-of-looper/263014/

martedì 11 settembre 2012

C'è qualche scemo che la pensa come me!

FRANCESCO BONAMI per LA STAMPA

L'Italia che non sa più raccontare


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10510


Mi spingerei oltre dicendo che non solo non sappiamo più raccontare ma abbiamo perso il gusto, il piacere di farlo. Perché la voglia di stupire, scandalizzare, far parlare del messaggio (politico-sociale-economico-morale-cattolico-laico) intrinseco nel film e della "posizione che l'autore ha o non ha preso" in merito a questa o quella faccenda, sta snaturando completamente quello che dovrebbe essere il primo scopo di ogni regista del mondo degno di questo nome: raccontare una storia.
E allora ben vengano gli occhi a mandorla e quelli ancora chiusi dalla stanchezza di Seymour Hoffman

domenica 9 settembre 2012

Philip Seymour Hoffman
Coppa Volpi per The Master

Joaquin Phoenix
Coppa Volpi per The Master
di Paul Thomas Anderson, vincitore del Leone d'argento.

Kim Ki-duk, Leone d'oro a Venezia, ringrazia cantando


Il vincitore del Festival di Venezia è Kim Ki-duk con il violentissimo Pietà,
storia di una probabile redenzione e di una vendetta.

Il coreano si è portato a casa anche il
premio della giuria dei giovani che gli hanno assegnato il Leoncino d'oro.

venerdì 7 settembre 2012

un po' Ridge Forrester un po' Truman Burbank

In Inghilterra su Sky 1 sta per arrivare una nuova forma di reality. Un ibrido tra soap opera, fiction e Truman Show. Sì, Truman Show. Quel film in cui Jim Carrey viveva una buona parte della sua vita sotto gli occhi di tutto il mondo senza saperlo. Il programma, che per ora non ha titolo, punterà invece le sue telecamere su un gruppo di famiglie e di abitanti di una città di cui ancora non si conosce il nome. A differenza di Truman i futuri protagonisti sapranno di essere filmati e potranno decidere di interrompere i loro rapporti con il programma e con la telecamera in qualsiasi momento.
Il Grande Fratello, ormai stanco di trascorrere il suo tempo chiuso in casa, esce così allo scoperto e il meccanismo inizia ad interessare una comunità già 'strutturata' e non più da strutturare cammin facendo... l'altra novità è questo utilizzo del termine soap opera accostato agli altri due generi...
Il successo del reality show langue anche in Italia - Il Gf non andrà in onda quest'anno, per dirne una - tra factual tv, web tv, web series, web tutto.
Ma non ci si stoppa mai, è impossibile e forse, come al solito, lo show deve andare avanti o almeno continuare a girare intorno a se medesimo. Ad libitum.

http://www.guardian.co.uk/media/2012/sep/06/sky1-truman-style-show-families?newsfeed=true+
http://diecimila.me/2012/08/24/temporale-dagosto/#comments

Lui si chiama Francesco De Simone, in arte Frappa. Ha scritto un racconto con cui mi sono scontrata in questo periodo.
Lui è un commesso sfruttato, io una che fissa uno schermo 11 ore al giorno.
Un buon incontro d'anime.

Buona lettura.

Justin Bieber diventa attore

http://www.cinefilos.it/v2/news-e-articoli-2/news-e-articoli-2012/justin-bieber-diventa-attore-32053

Justin Bieber, da cantante ad attore. L’idolo pop delle ragazzine è in procinto di intraprendere la carriera cinematografica. A riferirlo è l’attore Mark Wahlberg che ha specificato che anche lui prenderà parte al progetto in cantiere con il giovane cantante. Ci sarebbe già una prima stesura del film e attualmente si sta lavorando sul copione. Justin dovrebbe vestire i panni di un giocatore di basket. Il film “potrebbe essere completato per l’anno prossimo” ha concluso Wahlberg, “Justin è un bravo sportivo e vuole avere successo anche nel campo della recitazione“.
http://www.cinefilos.it/v2/news-e-articoli-2/news-e-articoli-2012/robert-smith-dei-cure-la-soundtrack-di-frankenweenie-32042


Per Edward Mani di Forbice,Tim Burton si ispirò al suo stile e alla sua figura. Adesso Robert Smith dei Cure ha composto una canzone per Frankenweenie, il nuovo film del regista californiano. Il pezzo è intitolato “Witchcraft” e farà parte della colonna sonora Frankenweenie: unleashed” che sarà pubblicata il 25 settembre. Il film d’animazione, già cortometraggio omonimo realizzato nel lontano 1984, ha come protagonista Victor, un ragazzino che, come un Dottor Frankenstein in miniatura, tenterà di riportare in vita il suo cagnolino Sparky.
Frankenweenie arriverà negli Stati Uniti il 5 ottobre, mentre in Italia è atteso per il 17 gennaio 2013.
Fonte: Rockol


venerdì 31 agosto 2012

http://www.youtube.com/watch?v=o0Dm44dEKws

Michael J. Fox, il ragazzino che tutti invidiavamo


Pubblicata su www.serietv.cinefilos.it

Alla guida della Delorean era padrone del tempo. Sul palco della scuola di Hill Valley, lanciato in un’anacronisticaJohnny be good, era buffo e allo stesso tempo terribilmente “cool”. È stata accolta nel migliore dei modi da parte di tutti i network americani, la notizia che Michael J. Fox ha comunicato pochi giorni fa. “Torno a recitare, nonostante la malattia”. Sarà un cocktail di farmaci a indebolire il tremore e a permettergli di mostrare il suo talento.
Torna in pista così Marty McFly. In barba a quel morbo di Parkinson che lo infastidisce da troppi anni, e che negli ultimi 10 non gli ha permesso di lavorare come avrebbe voluto. E sarà proprio una serie tv sul suo male, che andrà in onda dal 2013 sulla Nbc, a battezzare il ritorno sugli schermi del ragazzo che sembra non invecchiare mai, malgrado tutto. Forse perché le icone non invecchiano. O perché, nonostante per le generazioni più giovani il suo sia un nome come un altro, non lo è per chi ha sempre desiderato di poter essere nei suoi panni e avere un amico come Doc, lo scienziato pazzo che poteva portarti nel Vecchio West o negli anni 50, a farti conoscere i tuoi genitori quando erano tuoi coetanei. Negli anni 80 Michael J. Fox era il ragazzo più invidiato dai bambini di mezzo mondo. E quegli stessi bambini, oggi diventati grandi, ancora sbagliano e confondono il suo nome con quello di Marty McFly di Ritorno al futuro.
Ma Michael era stato bravo, e furbo. Non era rimasto incastrato nel ruolo, non si era bruciato, né aveva vissuto di rendita. Aveva continuato a recitare per il cinema e per la tv riscuotendo sempre consensi soprattutto nella sitcom Casa Keaton, in film come Il segreto del mio successo e perfino nel drammatico Vittime di guerradi Brian De Palma.
Poi l’arresto. Nel 1991, a soli 30 anni, gli viene diagnosticato il morbo di Parkinson. «Nel novembre del 1990» dichiara lui stesso «mi svegliai e trovai il messaggio nella mia mano sinistra. Non era un fax, un telegramma o un promemoria, la mia mano non conteneva nulla: il tremore era il messaggio». Fox renderà pubblica la notizia solo sei anni dopo. Altri tre ne trascorreranno prima che decida di abbandonare le scene a causa del progressivo aggravarsi delle sue condizioni. Dopo lo stop, vari cammei e partecipazioni come guest star in episodi di Scrubs e The good wife ma soprattutto un impegno costante, tramite la sua fondazione, per finanziare la ricerca sulla sua malattia.
Oggi il ritorno. Rischioso, sicuramente, ma di certo non privo di sorprese.  Del resto era proprio lui quello che si voltava verso Beef, il “cattivo” grosso e imbecille di Ritorno al Futuro, dicendogli: “Nessuno… può chiamarmi fifone!”.

Il tempo che non ho

Torno, dopo molto tempo, a inserire qualche articolo su questo blog bistrattato, dimenticato, dai colori infantili, rappresentativi di una persona che, volontariamente, non crescerà mai.
Non sono ancora pronta a riempire questi spazi di me. Ci vorrà del tempo e mi piacerebbe saperlo fare. Ma ci vorrà del tempo.
Intanto inserisco qualcosa del poco che ho scritto nell'ultimo periodo. E che ho cantato, anche.

Recensione di
La Faida (Regia di Joshua Marston)

pubblicata su www.cinefilos.it

Il regista Joshua Marston ha un debole per le ragazzine “con gli attributi”. È un debole spontaneo, un’inclinazione naturale che lo spinge a indagare nel mondo di piccole donne che conservano la loro dolcezza e la loro grazia anche se coinvolte in situazioni drammatiche.
Nella sinossi della Faida, l’ultimo film da lui diretto, vincitore dell’Orso d’Argento per la sceneggiatura a Berlino, è scritto che il protagonista è il diciassettenne Nick, interpretato da Tristan Halilaj. In realtà in questa storia che si svolge nella campagna albanese e che documenta le fasi di un violento conflitto tra due famiglie, emerge ancora una volta, così come nel precedente Maria full of grace, un intenso ritratto femminile, quello di Rudina; brillante e intelligente sorella di Nick che si trova costretta a subire le leggi idiote e assurde di un mondo dominato dagli uomini.
Se la colombiana Maria, nella precedente pellicola, aveva il compito di ingerire ovuli di cocaina per portarli da un capo all’altro del mondo, anche a Rudina tocca trasportare e vendere pane e sigarette per assicurare la sopravvivenza alla sua famiglia. Così come la protagonista del primo film, inoltre, la ragazzina albanese, interpretata dalla sedicenne Sindi Laçej, capisce di essere vittima di un meccanismo assurdo e non voluto da lei, ma dimostra una forza silenziosa e conserva sempre la speranza di poter dare una svolta al suo futuro.
Con La faida, prodotto da Portobello production e Fandango, Marston e lo sceneggiatore Andamion Murataj ci mostrano un mondo rurale in cui l’invasione dei moderni mezzi di comunicazione, telefonini e social network, stride con l’atmosfera arcaica di una società ancora basata sul patriarcato e su codici ormai annullati “legalmente” ma diventati ferree regole non scritte. Come il delitto d’onore in Italia, anche le note del Kanun furono infatti messe al bando dal regime comunista di Hoxha, durato circa 40 anni. Dal 2000 circa molti albanesi sono però tornati a farsi giustizia da soli, convinti che lo Stato non faccia abbastanza per punire i colpevoli. Marston dimostra così ancora una volta, di interessarsi a questioni conosciute solo per chi le vive sulla propria pelle e che non hanno eco in altre parti del mondo; e lo fa costruendo un film in cui lo stile documentaristico si alterna ad un gusto per l’inquadratura che fa assomigliare molti paesaggi della campagna albanese a quelli ritratti da Cézanne o Fattori. D’impatto anche la recitazione degli interpreti, tutti non professionisti, e in particolare la resa del rapporto che Nick stabilisce con la sua stessa casa. Un tempo sereno e pieno di vita e interessi, il ragazzo in cattività considera la sua dimora una gabbia e inizia a deturparne mura e pavimenti quasi senza rendersene conto.
Pur non riuscendo a raggiungere la tensione ed il pathos che contraddistinguono certe sequenze di Maria full of graceLa faida mantiene sicuramente alto il profilo di Jushua Marston, il cineasta “metà regista e metà antropologo”.




giovedì 14 giugno 2012

Via Libera al teatro di Harold Pinter


Dall’innocenza all’assurdo. Dalla convivialità al terrore. Sono questi i contrasti cardine del teatro di Harold Pinter, egregiamente resi nello spettacolo Party. Che fine ha fatto Jimmy?. La piéce, messa in scena dalla compagnia Via Libera al Teatro e diretta da Antonio Sinisi e Daniele Miglio, è basata sull’interazione ed il collage di cinque testi del celebre e controverso autore: Party Time, Anniversario, L’intervista, Tess e Conferenza Stampa.
Tanti attori in scena danno vita ad un meccanismo - diviso in tre atti - in cui la goliardia e l’entusiasmo tipici di borghesi benestanti riuniti ad una festa, svelano un retroscena fatto di violenza e sopraffazione. Il senso politico che segna con vigore tutti i lavori di Pinter emerge gradualmente, e nelle battute iniziali e centrali non è che un’eco che si nasconde dietro dialoghi affettati o sboccati, tautologie, non-sense.
Buona parte dello spettacolo infatti è basato sull’importanza quasi invasiva della parola, della conversazione, del racconto e del monologo. Il ritmo della voce degli attori, delle pause e delle riprese è quasi sempre serrato e costruisce una sorta di ‘danza’ con le luci e le ombre che si creano sul palco e con i movimenti. 





Al centro della rappresentazione, tuttavia, non c’è solo la parola ma anche la presenza scenica, la fisicità stessa degli interpreti – molti di loro sono attori alla prima esperienza - capaci di amalgamarsi e creare un movimento d’insieme compatto.
‘’Abbiamo deciso di dare rilievo ai movimenti sulla scena in modo da armonizzarli con l’intreccio drammaturgico’’, ha spiegato il regista Antonio Sinisi. ‘’Abbiamo studiato anche le caratteristiche fisiche dei vari attori – ha proseguito – proprio per creare questo tipo di ‘corrispondenza’ anche fra corporeità e personalità dell’interprete’’. Questo risalto della fisicità e dei riferimenti al corpo è rafforzato anche dai numerosi rimandi al sesso presenti nello spettacolo. Ma quella di Party è una sessualità affrontata nei suoi aspetti più materialistici o peggio, come strumento privilegiato di controllo e barbarie.
Antonio Sinisi, giovane regista giunto al suo quarto lavoro su Pinter, è membro dell’Officina Culturale Via Libera, come gli attori e lo staff che hanno reso possibile la rappresentazione. L’associazione, che ha sede nel quartiere del Quadraro, in via dei Furi, promuove e realizza ogni anno attività legate anche alle arti figurative, alla musica, alla cucina e alla letteratura ed è aperta alle proposte di chiunque voglia prender parte ai progetti o offrire un contributo.
‘’Sicuramente organizzeremo qualcos’altro l’anno prossimo, probabilmente da Gennaio’’, ha concluso Sinisi.  





Lo spettacolo si è svolto presso
Teatro dell’Orologio, via De’ Filippini 17/A
Sabato 9 Giugno ore 21.00
Domenica 10 Giugno ore 17.30

Party. Che fine ha fatto Jimmy?
Regia Antonio Sinisi; Daniele Miglio
Musiche originali Roberto Fega
Produzione Officina culturale Via Libera

venerdì 1 giugno 2012

http://www.retididedalus.it/Archivi/2012/giugno/PRIMO_PIANO/3_ricordi.htm

IL POETA ELIO PAGLIARANI COMPRESO IN UNA SEMPLICE STRETTA DI MANO ...

è davvero così necessario, piecevole, utile, frequentare un poeta o uno scrittore? O bastano le sue opere ad appagare la nostra curiosità? E se la personalità dell'autore ci delude rispetto all'efficacia delle sue prose o dei suoi versi? Molto spesso la delusione per la persona rischia di soffocare l'ammirazione per il suo lavoro... ma le eccezioni fortunatamente esistono.

Eccone almeno due nelle riflessioni del giovanissimo e ottimo critico Domenico Donatone



I miei rapporti con i poeti non sono così intensi, contrariamente, forse, a ciò che un critico dovrebbe avere. I miei rapporti con gli scrittori sono ponderati, misurati, quasi esclusivi, riservati. Incontrare, conversare, raccontare, discutere, cenare, sono alcuni verbi che indicano azioni possibili che personalmente tengo distanti. Certamente conosco diversi poeti, ma la mia voracità è di libri, non di uomini. Sono legato ad una frase di Walt Whitman: «Chi tocca un libro tocca un uomo». Mi basta questo, non chiedo altro! Ovviamente incontro chi mi pare, e converso con chi mi pare, senza nessuna mitizzazione. Il principio empirico da cui parto è che i poeti vanno letti, non frequentati. Se li frequenti c’è il rischio che ti deludano. Ti deludono da un punto di vista letterario, per cui ciò che si scrive non sempre coincide con ciò che si pensa o si fa. Nascono delle incoerenze che producono distanza. Vita e opera coincidono davvero poco!
Me ne sono accorto presto e, da allora, ogni lectio magistralis mi appare superflua, perché è tanta l’ambiguità umana, anche dei poeti. L’immagine che ho del poeta è sacra, imperturbabile, mitica, nel senso che nella mia mente tendo a tutelare lo scrittore dalla sua stessa immagine, invece è vero il contrario: il poeta è lunatico, isterico, solitario e, a volte, anche inconcludente, pessimo, distante. Lo si è detto di Picasso, lo si può dire adesso di altri senza allarmarsi. Conoscere il poeta di persona è un rischio, perché non è un politico di cui già sai l’inconcludenza: pensi, il poeta ha studiato, il politico no! Ti fidi di chi dimostra almeno di capire le cose. La conoscenza della persona fondamentalmente rischia di invaderti, di contaminare il tuo giudizio. Un discreto e simpatico rapporto umano l’ho avuto con Vito Riviello, perché sostanzialmente era lui in grado di agevolarlo, di togliersi la maschera e di essere uomo, coi suoi difetti senza nessuna alterigia. Dire che Vito era simpatico è poco, perché era divertente, una persona amabile che della sua morte sosteneva l’inevitabilità, al punto da consigliare a chi gli sarebbe stato vicino, pronto anche a ricordarlo, di non allarmarsi troppo perché, diceva, è naturale che si muoia! 


                                                      Elio Pagliarani



Nella sostanza questo mio atteggiamento di riservatezza non è snobistico, ma prudente, a volte direi timoroso e deferente, con la costante ossessione di disturbare chi, in qualche modo, essendo artista mi appare dentro un’aura di rispetto assoluto. Non è così, il poeta è soprattutto un uomo, ed è questa la cosa fondamentale da capire. La scuola spesso c’illude e mitizza scrittori e artisti. Non è fondamentale credere e ritenere che il poeta stia necessariamente avanti, ma ritenere che può esserlo per effettiva capacità critica, quanto per vanità o per puro eloquio. Il problema forse è mio, non dell’artista che spera che qualcuno si faccia avanti e gli dia spazio e credito. Io retrocedo, non per viltà ma per convinzione ed esperienza (qualcuno dirà pregiudizio!). Perché mi accade questo? Perché mi pare di non aver mai molto da dire con i poeti, bastandomi soltanto la lettura delle loro opere. Ma anche i poeti sono uomini, e parlano. In questa condizione trattenuta da eccessivo rispetto e forse timidezza (perché a costringerti a farti indietro è anche un po’ di delusione, di mancanza di soddisfazione: il critico è tra i tanti che lavora gratis!), posso dare spazio all’esigenza di conoscere davvero uno scrittore solo nel momento in cui l’opera lo richiede. Ciò che è scritto sulla pagina è l’imperativo a cui mi attengo, la persona è la confidenza che mi concedo, e se l’opera è valida nasce spontaneamente un’intimità che diversamente da ciò sarebbe pura formalità, oppure egoismo. L’opera mi basta per conoscere chi ho davanti. Stimolare qualcuno con un’intervista ti consente di essere contiguo ma non distante. Ed è qualcosa che vorrei realizzare: stimolare i poeti, intervistarli, nel tentativo di restituire loro un ruolo che hanno perduto.
Così nel giorno in cui mi giunge per e-mail la notizia della scomparsa di Elio Pagliarani, non posso scrivere quello che Andrea Cortellessa ha scritto sul sito Le parole e le cose (www.leparoleelecose.it: «Ma dobbiamo continuare», 9 marzo 2012) e cioè che lui conosceva Elio e che «della morte non si poteva parlare in sua presenza». Ecco, Andrea Cortellessa conosce e riconosce diversi poeti, l’opposto di ciò che capita a me per scelta. Questo rapporto può consentire di scoprire ulteriori cose del poeta. Scrive Cortellessa: «Era superstizioso, Elio. I suoi amici lo sapevano bene, ed evitavano di sfidare la sua collera leggendaria.» Ancora più a fondo Cortellessa nel suo pezzo riferisce di una “esacerbata moralità”, di uno “stoicismo brutale”, di una “passione pedagogica”, di “un’attitudine teatrale”: tutte cose della persona-Elio Pagliarani, non della sua poesia che resiste comunque anche se egli fosse stato un uomo timido o estroverso. Allora giova conoscere il poeta? Giova conoscere l’oggetto-persona della tua critica? No! Giova nella misura in cui decidi di stare dentro la poetica oppure di curiosare, di indagare, (come fece Antonio Ranieri con Leopardi); nei casi estremi è utile a farti chiarire quello che il poeta ha scritto.
Chi ha conosciuto Elio Pagliarani potrà in questi giorni scrivere i suoi “coccodrilli”, esprimere i propri ricordi, io, invece, posso scrivere ciò che non ho conosciuto ma che ho studiato: la sua poesia, i suoi epigrammi, i suoi poemi; ovvero l’essenziale, ciò che ha valore letterario. La conoscenza della sola opera garantisce di poter conservare maggiore distacco ed evitare di essere troppo affezionati, troppo coinvolti, anche in momenti come questi in cui il poeta muore e si distacca dal mondo perché non ci sono più parole. Io che non ho conosciuto Elio Pagliarani, (e avrei potuto certamente impegnarmi in questo, anche se la sua malattia non facilitava l’impresa), posso dire che dinanzi a me è comparso non solo un poeta, ma un uomo. Era il 2005, estate, lungotevere, Roma. In occasione di una celebrazione di Pagliarani, Walter Pedullà lo presentò a me e a un mio amico. Ci trovammo dinanzi ad un uomo prima ancora che ad un poeta. Pagliarani era stato operato al cuore e aveva subìto una intensa riabilitazione. Il tutto era impresso sul suo volto. I suoi occhi cercavano la vita in noi giovani che gli stavamo davanti. Ci strinse la mano con dolcezza, ci sorrise con nostalgia. 



                                                  Vito Riviello


Mi è bastato questo per capire come ci riduce la vita, ed ascoltare la lettura delle sue poesie per capire cosa rimane della vita quando se ne va l’uomo. Pagliarani lesse anche un messaggio rivolto alla platea: si commosse al punto che dovette più volte interrompere la lettura. In quel caso ho pensato: se lo avessi conosciuto davvero sarei stato all’altezza di un’amicizia? Avrei saputo stargli vicino? Sarei stato tra coloro che quel giorno, con reale affetto, avrebbero scatenato la sua commozione? Ipocrisie umane! Stringergli la mano mi ha riempito così tanto di entusiasmo che a volte quello che sono i poeti non è materia solo di studio, ma addirittura di emozione. Così posso ricordare Elio Pagliarani, convincermi che dentro la trama dei suoi versi c’è un sentimento ed un realismo che assimila i rapporti umani sempre così incompleti, sempre così azzardati, che dedicarsi all’opera significa almeno per una volta capire quanto sforzo si compie nell’essere scrittore, oltre che nell’essere uomo.

Quanto di morte noi circonda e quanto
tocca mutarne in vita per esistere
è diamante sul vetro, svolgimento
concreto d’uomo in storia che resiste
solo vivo scarnendosi al suo tempo
quando ristagna il ritmo e quando investe
lo stesso corpo umano a mutamento.

Ma non basta comprendere per dare
empito al volto e farsene diritto:
non c’è risoluzione nel conflitto
storia esistenza fuori dell’amare
altri, anche se amore importi amare
lacrime, se precipiti in errore
o bruci in folle o guasti nel convitto
la vivanda, o sradichi dal fitto
                                               pietà di noi e orgoglio con dolore.

giovedì 31 maggio 2012

giovedì 17 maggio 2012

Polanski, il grande regista si racconta

recensione pubblicata su www.ondacalabra.it 


Sguardo assorto, voce flebile, inglese fluente corredato da una pronuncia che tradisce la provenienza da una terra diversa. È questo, oggi, il regista Roman Polanski, ritratto dalla macchina da presa dello specialista del ‘making of’ Laurent Bouzereau che con il suo Roman Polanski: a film memoir, presenta un documentario sulla vita del cineasta polacco.
Il film, proiettato oggi in anteprima al cinema Eden di Roma, è stato inserito nella selezione ufficiale del Festival di Cannes ed uscirà nelle sale italiane domani – 18 maggio 2012. La storia di Polanski scorre sullo schermo con l’ausilio di filmati d’epoca, fotografie, immagini tratte dai telegiornali e soprattutto dalle sue opere: dalle più famose come Il Pianista, Frantic e Tess, alle meno conosciute soprattutto dal pubblico dei più giovani. Fra queste Cul-de-sac, Repulsion, e il primo lungometraggio Il coltello nell’acqua. Quest’ultimo, completato nel 1962, dopo essere stato ampiamente osteggiato dal governo del paese natale di Polanski, fu apprezzato a Londra, Parigi e Monaco e valse al giovane Roman i primi riconoscimenti dopo gli studi alla scuola di cinema di Łódź. Oltre ai contributi esterni, la storia di questo brillante quanto sfortunato artista viene raccontata in un dialogo fra Polanski stesso ed il suo amico e collaboratore Andrew Braunsberg, produttore, fra gli altri, del film.
Gli incontri sono stati registrati nella casa di Gstaad, in Svizzera, dove Polanski nel 2009 ha scontato gli arresti domiciliari dopo essersi dichiarato colpevole di aver intrattenuto un rapporto sessuale con una minorenne. La notizia, risalente al 1977, fece molto scalpore, soprattutto perché si parlò anche di un conflitto d’interessi da parte del giudice che presiedeva la causa. La questione fu infatti affrontata da un altro documentario dedicato al regista, Roman Polanski: wanted and desired, realizzato nel 2008 dalla regista Marina Zenovich.
Il documentario di Bouzereau non propone alcun tipo di assoluzione ma riporta anche dichiarazioni della vittima Samantha, oggi diventata mamma, che confessa quanto l’ossessione della stampa per il caso le abbia rovinato l’esistenza forse più dell’esperienza in sè.
Non viene dimenticato, ovviamente, l’omicidio perpetrato dalla setta di Charles Manson nel 1969 e che vide fra le vittime anche Sharon Tate, all’epoca moglie di Polanski, al nono mese di gravidanza. Il regista e Braunsberg ricordano insieme il momento in cui arrivò la telefonata da Los Angeles nello studio di Londra, dove entrambi stavano lavorando alla sceneggiatura del film Il giorno del delfino…
Crediamo che forse maggior risalto si sarebbe dovuto dedicare anche al Polanski artista, forse togliendo un po’ di spazio ad una lunga prima parte concentrata sulla drammatica infanzia trascorsa nel ghetto di Varsavia. Ci sarebbe piaciuto ‘spiare’ un po’ di più il genius at work oppure avere la possibilità di conoscere particolari, aneddoti specifici e perché no, anche ‘tecnici’ sul Polanski regista. Efficacissima la scelta di intervallare il racconto della vita del regista bambino e scioccato di fronte agli orrori del nazismo a sequenze e meravigliose fotografie tratte dal film Il Pianista, un lungometraggio che scopriamo ricco di riferimenti alla vera e traumatica esperienza del piccolo Polanski e di tanti che, insieme a lui, furono costretti a vivere una fra le più terribili pagine della storia.

domenica 13 maggio 2012

my blue day

''Have you ever confused a dream with life? Or stolen something when you have the cash? Have you ever been blue? Or thought your train moving while sitting still?''

venerdì 27 aprile 2012

Cheyenne, l'amore, i Pezzi di Merda

Tempo fa ho avuto la fortuna d'imbattermi in uno di quei film che ti fa venir voglia di convincerti che il protagonista sia davvero, da qualche parte, in giro per il mondo. Che la sua storia non sia solo il frutto di una sceneggiatura ben scritta ma una delle tante che irrorano questa terra.
Ha il nome di una canzone, è un film fatto di musica, sorretto da una voce flebile che ridacchia sfinita e 'sputa sentenze' che ti spaccano il passato in due.
E' uno di quei film che se avessi visto a 16 anni probabilmente avrei imparato a memoria, cercando in tutto il mondo un ragazzo truccato, con i capelli cotonati e vestito di nero, che somigliasse almeno un minimo al personaggio principale.
Comunque, basta farsi seghe.
Pubblico il brano che introduce questa storia sciancata e dolce. Indimenticabile.


http://www.youtube.com/watch?v=9Zg6svDmc6o&feature=share


THE PIECES OF SHIT 


Lay & Love


lunedì 23 aprile 2012

Maternity Blues. recensione.

http://www.ondacalabra.it/web/2012/04/maternity-blues-un-progetto-troppo-ambizioso/

È difficile raccontare storie di madri che uccidono i propri figli. È arduo tentare di stabilire se esista o meno un istinto materno o se sia solo frutto di un condizionamento sociale che vorrebbe affibbiare alla donna ruoli e sentimenti che magari non appartengono a tutto il genere femminile. È anche vero, tuttavia, che per realizzare un buon film basato su un progetto così temerario, servirebbero tanti anni di lavorazione o una quantità di risorse e mezzi di cui forse neanche un grande kolossal necessiterebbe. Maternity Blues, diretto da Fabrizio Cattani, tratto dall’opera letteraria From Medea di Grazia Verasani e prodotto da Fandango, uscirà nelle sale il 27 aprile. Pur essendo il risultato di un’idea originale, riesce solo in parte a centrare gli obiettivi che si propone.
Proiettato oggi in anteprima alla Casa del Cinema di Roma, il film vorrebbe condurre lo spettatore in un limbo in cui il giudizio sull’efferatezza del crimine viene sospeso per osservare più da vicino i periodi di depressione e di solitudine di cui è vittima la donna, soprattutto dopo il parto. In questa ‘terra di nessuno’ l’orrore che caratterizza l’omicidio di un bambino dovrebbe però unirsi a un sentimento di compassione, perfino di empatia nei confronti delle madri carnefici, rinchiuse in un ospedale psichiatrico giudiziario ad espiare la loro colpa.
‘’Spero che il pubblico possa acquisire un punto di vista diverso nei confronti di queste donne che nel film non vengono giustificate ma neanche trattate come mostri’’ ha dichiarato il regista nel corso della conferenza stampa. ‘’Partorire ed allevare un bambino – ha proseguito – non è sempre e per tutte così ‘naturale’ come molti credono ma può diventare anche complicato, difficile, soprattutto quando queste donne vengono lasciate sole e la loro depressione non viene notata dalle persone che vivono accanto a loro’’.
Il soggetto, scritto dalla Verasani nel 2002, nasce proprio da una reazione dell’autrice nei confronti di ‘’un certo tipo di opinionismo, superficiale ed ipocrita, che accomunò molti protagonisti dei vari salotti televisivi dopo il delitto di Cogne’’. Secondo gli autori, dunque, le madri non sono le sole colpevoli del delitto. Anche il sistema sociale, con l’indifferenza che lo caratterizza, sarebbe una sorta di connivente, un complice che spesso lascia che questi crimini accadano senza azzardare nessun atto preventivo.
Purtroppo però sono tanti gli elementi, anche tecnici, che non sono all’altezza dei principi teorici da cui il film prende le mosse. Dall’interpretazione un tantino stereotipata di alcuni attori, alla mancanza di realismo dei dialoghi – alcuni spesso al limite della banalità -, fino alla presenza di scene quantomeno inopportune. Esemplare, in questa categoria, quella in cui Eloisa – Monica Birladeanu – il personaggio all’apparenza più cinico del film, canta una canzone dedicata a suo figlio nel bel mezzo della tradizionale festa di Natale dell’ospedale psichiatrico.
Senza dover menzionare la presenza di personaggi ‘duri fuori e teneri dentro’ che caratterizza buona parte della cinematografia – e senza infierire sulla qualità e l’utilizzo del playback – pensiamo che questo intermezzo, oltre a non emozionare né commuovere, rischi di snaturare perfino l’importanza e la gravità del tema centrale del film. Di tutti i tormenti che crediamo caratterizzino i pensieri di donne che hanno vissuto una simile esperienza, il film si concentra maggiormente sull’analisi del senso di colpa e quel che è peggio non ci permette di sorprendere nessuna ‘Medea nell’atto di sferrare il colpo’. Fa eccezione, forse, solo l’infanticidio che compie Vincenza – interpretata da Marina Pennafina – che sarà anche l’unica a punire se stessa con un atto disperato e definitivo.

domenica 22 aprile 2012

Incluso il Cane

Si chiama Jacopo Incani, in arte Io sono un cane. L'ho ascoltato ieri sera dal vivo al Beba do Samba a Roma. La sua musica, in parte, l'avevo già conosciuta grazie al consiglio di un caro amico ma guardarlo interpretare i suoi testi di persona ha conquistato i -troppo pochi- presenti. Sul palco c'è solo lui che affronta strani macchinari, campionatori, distorsori - chiunque ne sappia di più mi illumini!! - fili, filetti, filoni che s'intersecano. Sembra uno scienziato pazzo mentre avvolto dalla sua maglietta rossa che grida no alla compravendita di biciclette rubate, urla la sua 'Macarena su Roma' con una voce potente, metallica, gracchiante, stridula, permanentemente alterata dal filtro del microfono. I suoi testi sono semplici, le parole coltellate. Il cane osserva tutto l'osservabile da occhio umano e lo trasferisce nelle canzoni, che sono decaloghi delle assurdità e del modo di vivere italiano contemporaneo in cui sguazziamo anche se non vorremmo e se non ci crediamo. Le spiagge affollate, gonfie di Donnemoderne e di bambini che non devono disturbare il vicino sono le stesse in cui il mare finisce nelle gole di ragazzini che cadono dai gommoni, e che non sanno nuotare. Il mondo in cui il cane scorrazza è quello di tutti e lui non lo osserva dall'alto ma anzi ammette suo malgrado di esserci dentro fino al collo. E' un universo fatto di televisione, salotti domenicali, opinionisti, psicologi, di cosce e stereotipi che conciliano la digestione e rammolliscono reazioni e pensieri. Un universo in cui la sfida più entusiasmante è sempre quella 'fra bionde e more'.
E se sembra che non stia dicendo niente di nuovo date un'occhiata alla scena cantautoriale indipendente italiana degli ultimi tempi... Il cane, per farla breve, riesce a catturare l'attenzione senza sfruttare testi gonfi di seghe intimiste, romantiche o consolatorie. La sua unica canzone d'amore non sembra neanche d'amore.
E purtroppo non riesco a trovarla da nessuna parte.
Comunque beccatevi la Macarena su Roma! 


http://www.youtube.com/watch?feature=endscreen&NR=1&v=UM7g8m2ZKRg

venerdì 20 aprile 2012

DIAZ ed altro


Si può arrivare a considerare la vita altrui mera esistenza biologica? Sì, si può. E Diaz di Daniele Vicari mostra e dimostra cosa succede quando si arriva a normalizzare nella propria testa questa visione. Forse si innesca un processo che ci fa tornare bambini. Che ci fa giocare con gli 'insetti' finché non sopraggiunge la noia e l’insoddisfazione. Perché li vediamo così inermi nelle nostre mani che finiamo per considerarli deboli, spregevoli. Tediosi.
Il macello dei ragazzi accampati nel liceo Diaz, durante il G8 di Genova, perpetrato da poliziotti che così hanno deciso di sfogare giorni, mesi, anni di frustrazione, rabbia e violenza represse, viene ripreso da Vicari sbattendo in faccia allo spettatore la brutalità inaudita dell’atto che appare ancora più efferato perché guidato da motivazioni che sono assurde per tutti tranne che per i burattinai che da sempre tessono le fila del sistema in cui viviamo. Queste motivazioni non possono non ricordare lo stralcio di un’intervista rilasciata da Francesco Cossiga nel 2008, quando buona parte dell’universo scolastico protestava contro i provvedimenti della Gelmini. L’ex Presidente della Repubblica dispensava consigli sulla più efficace procedura da seguire durante le manifestazioni, per far sì che la violenza delle forze dell’ordine sui civili venisse tollerata e giustificata:

''Maroni dovrebbe fare quello che feci io quando ero ministro dell'Interno (Vedi in particolare le notizie inerenti l’omicidio di Giorgiana Masi nel 1977).
In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito (…) Lasciar fare gli universitari. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. (…). Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. (…). Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. (…). Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. (…). Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì’’.

Ancora. queste motivazioni non possono non essere accostate alle riflessioni lette un po’ di tempo fa sul libro intitolato Chi disturba i manovratori, di Marco Palladini, che a sua volta commenta le teorie del filosofo Giorgio Agamben sullo ‘stato d’eccezione’. È in questo tipo di stato che si sperimenta un totalitarismo travestito da democrazia, dove qualsiasi pratica repressiva ai danni dei soggetti non integrati nel sistema viene normalizzata e normativizzata. Il totalitarismo dei nostri tempi non sarebbe altro che una guerra civile permanente e ‘legale’ che permette l’eliminazione fisica non solo di avversari politici ma di intere categorie di individui che per qualche ragione risultano non compatibili con il sistema. Citando anche Judith Butler, Agamben si concentra in particolare sulla condizione dei prigionieri di Guantanamo. Il carcere di massima sicurezza diventa il luogo simbolo in cui la vita umana transita da una dimensione sociale e giuridica (bíos), a quella della mera essenza biologica (zoé).
Diaz è tutto questo? Sì, è tutto questo. Ed è anche un’ottima regia, un eccellente ingranaggio che prende il via da un particolare frammento che fa sì che tutta la storia si dipani a raggiera e che venga vista e vissuta da molteplici punti di vista. È anche un film in cui sequenze a rallentatore, accompagnate da una buona colonna sonora – a volte troppo presente – assumono le sembianze di brevi, inquietanti videoclip. È la pellicola di un regista che non si è dimostrato ‘egoista’, che ha riconosciuto la miriade di contributi di sconosciuti video maker e degli organi di stampa presenti al G8 e gli ha dato ampio spazio. È un’opera che potremmo anche azzardarci a definire ‘corale’, nonostante il coro non canti ma urli di dolore e di rabbia. In questo senso un plauso particolare va’ anche ad Elio Germano e Claudio Santamaria che accettano di rinunciare coscientemente al ruolo di ‘attori famosi’ e si mischiano nella calca, si fanno davvero piccoli per dar visibilità alla storia, alla vischiosità di un sangue che non dovrà essere pulito.   

mercoledì 18 aprile 2012

Il panico e il sorriso (racconto per bambini)

Il cielo era plumbeo. Ingoiava i colori della campagna distesa oltre le finestre della sua casa, venti passi oltre la strada principale e la ferrovia, appena cinque passi dietro alla casa di Nicola, detto anche 'Stalin' da suo fratello maggiore che in quel momento era a Bologna a frequentare l’ultimo anno di università.
Era plumbeo il cielo, era pur sempre Ottobre in fin dei conti, e Mauro se ne stava in cucina, le chiappe ossute sulla sedia di vimini e legno e lo sguardo che sovrastava una pila di stoviglie appena lavate.
Dieci anni, fronte alta, spazietto fra i denti, capelli castani simili a piume di pulcino e mani appiccicose.
Mauro aveva paura.
E poi quel cielo non gli piaceva, anzi gli faceva proprio schifo, e non lo sapeva, ancora non poteva immaginare che dopo aver compiuto vent’anni quella autunnale sarebbe stata la sua stagione preferita, ma solo se vissuta nel suo paese, quella specie di ferita fra due capoluoghi, trionfo di fabbriche e fucina di tossicodipendenti e scout bigotti, culla ideale per preti indolenti e severi, una ferita nel cui dolore lieve e dimenticato sarebbe tornato sempre volentieri, per entrare in casa, stendersi sfinito su un letto troppo molle e guardare lo stesso cielo promettere pioggia.
Non poteva saperlo e non gliene sarebbe fregato nulla perché aveva paura in quel momento Mauro, più di quella che avrebbe avuto se si fosse imbattuto in Gino Lanzelli e quelli più grandi che gli sputavano addosso e lo prendevano a calci in culo ogni maledetto giorno.
Stringeva un foglietto, ormai parzialmente sgualcito dal sudore delle mani, e lo guardava e l’ansia cresceva perché dentro c’era scritto qualcosa e quel qualcosa riguardava suo padre e quel qualcosa l’aveva scritto lui e quel qualcosa era stato premiato dalla maestra solo poche ore prima con un ‘Ottimo’ scritto a chiare lettere e quel qualcosa era stato definito poche ore prima da quella donna che Mauro sognava tutte le sere prima di addormentarsi “il più bel tema della classe”.
“L’hai letto al papà?”, “no, maè”, aveva risposto lui, fingendo di non guardarle il seno, morbido, e i capezzoli che si intuivano sotto la maglia di cotone, “Ma devi farlo, Mauro”, aveva proseguito lei, “promettimi che lo farai” e lui, scemo, aveva promesso e ad un tratto le tettone erano sparite e in lui era nata la paura che nasceva sempre quando doveva mostrare, dire o raccontare qualcosa a suo padre.
“Come cazzo…” sussurrava rosicchiandosi il pollice, terrorizzato da quello che il signor Benfi avrebbe detto, peggio! avrebbe pensato, di quella stronzata scritta di getto solo due giorni prima. Non avrebbe potuto sopportare l’indifferenza stampata sul suo volto che sarebbe tornato impietoso a fissarsi pochi istanti dopo sui risultati della schedina o sullo schermo, dopo avergli rivolto un breve cenno di assenso e avergli domandato “si, ma almeno alla maestra è piaciuto?” e soprattutto non avrebbe sopportato la sua vocetta da cagasotto, saputo e fragile che avrebbe risposto “si, mi ha messo ottimo” sperando di trovare dall’altra parte un entusiasmo che si sarebbe ridotto a un “bravo a papà”.
Pensò di lasciar perdere, “cazzo me ne frega…”, si disse, “lunedì a scuola dirò che l’ho letto. Tanto importa solo a quella, sti cazzi, dico che gliel’ho letto, che mi ha detto ‘bravoo!’ e ciao”. Ma sentiva che non andava. Perché non sapeva mentire ed era un bambino coglione e ubbidiente e poi perché in fondo voleva leggergliela quella stronzata al signor Benfi, stravaccato sul divano senza scarpe, la pancia impegnata in un ritmico e regolare su e giù e gli occhi grigi e semi chiusi dal sonno post-pranzo che incalzava.
“O adesso o dopo di fronte a tutti è sicuro che non lo faccio!” pensò il bambino ma non si decideva perché ricordava ancora la storia dello schiaffo che il padre gli aveva mollato, dopo la crisi di sua madre. Era stata male l’anno prima, la signora Benfi e, un giorno in cinque minuti aveva distrutto il soggiorno. “Questo disordine! Questo disordine!”, gridava scaraventato tutti i giochi da tavolo e il lego e tutte le suppellettili che troneggiavano sul caminetto per terra. Tutto a causa del pupazzo Hulk Hogan lasciato sul pavimento.
Mauro l’aveva lasciata fare, non era colpa sua, lo sapeva, la mamma aveva la depressione, una cosa che lui non capiva ma che doveva essere brutta e imprevedibile perché le faceva cambiare umore ogni minuto e le faceva sentire prima troppo caldo, poi troppo freddo e poi le faceva venire il panico e quello per Mauro era stato un anno terribile perché ogni volta che le veniva il panico lui doveva portarla a fare una passeggiata per i corridoi della casa e lei lo ringraziava e lo baciava ma allo stesso tempo lui si sentiva un inutile buono a nulla. Dopo quella crisi, più forte di altre, il signor Benfi era tornato di corsa a casa, lasciando l’ambulatorio in fretta e furia e quando era arrivato e aveva visto tutto quel casino aveva rimproverato Luisa, afferrandola per le spalle e scuotendola mentre lei ancora piangeva, Dio solo sapeva perchè. Poi l’aveva messa al letto, aveva riordinato il soggiorno e mentre preparava la cena Mauro si era avvicinato mostrandogli un disegno che lo raffigurava e lui si era voltato come una furia e gli aveva dato uno schiaffo. Poi si era girato di nuovo, di scatto, chino sulle foglie di lattuga e i pomodori e Mauro aveva avuto paura, poi era andato al letto e aveva pianto…
“Papà” chiamò una voce che non sentiva come sua, “eh…” rispose il signor Benfi tirandosi su e stiracchiandosi leggermente, “oggi la maestra mi ha messo ottimo a una cosa che ho scritto. Su di te.”. “Ah! Mbè dammi!” esclamò il papà ancora fra sonno e veglia e solo lì Mauro si accorse che gli stava prendendo il foglio dalle mani e che se lo avvicinava al volto e che iniziava a leggerlo, mentre col dito abbassava il volume della televisione.

Dieci minuti dopo il cielo era ancora lì, ancora color perla, ancora gonfio di pioggia ma a Mauro sembrò che l’autunno fosse morto e che a ucciderlo fosse stato il sorriso di Giorgio Benfi, che si era fatto largo fra due baffoni folti e neri, lo stesso che gli aveva visto pochi mesi prima e che aveva illuminato gli spalti di un campetto di calcio, dopo la doppietta che lui, il piccolo Mauro, aveva segnato contro la squadra avversaria. Lo stesso che gli faceva brillare gli occhi, dopo qualche bicchiere di vino fatto in casa da Bruno, l’amico di sempre, lo stesso che gli colorò la faccia quando vinse un cesto pieno di specialità abruzzesi come premio per essere arrivato primo al torneo di boccette al circolo del paese. Lo stesso che fino a quel momento aveva sempre riservato solo a Luisa.
Anche lei aveva ricominciato a sorridere.

Le guance gli pungevano ancora perché la barba ispida di Giorgio gli si era strofinata sulla pelle mentre lo baciava e lo stringeva a lui, sulla poltrona.
E Mauro ancora rideva come un idiota, tenero e felice… e ancora rideva e rideva di gusto mentre si avventava come una bestia fuori dalla gabbia e per la prima volta, contro Gino Lanzelli. Il quindicenne brufoloso e sudicio che puzzava di big buble e sudore, quel pomeriggio non fece in tempo a chiamarlo “frocio” che già urlava di dolore mentre riceveva un deciso e risoluto calcio nei coglioni.

Ilenia

martedì 17 aprile 2012

Ecco com'è che va il mondo, FRANCO BATTIATO 'L'IMBOSCATA'

http://www.youtube.com/watch?v=GnfMPFwCNp4


Era la più grassa puttana
che mai avessi visto,
la donna più grassa che avessi guardato.
Aveva un vestito di seta cangiante,
perline al collo, un ventaglio di struzzo,
mani delicate.
Uno le disse: "schifosa montagna di grasso"
rise e dimenò il corpo come a dire sì,
o buon Gesù, certo sì.
Farlo con te non deve essere comodo,
sei grassa come tre.....
e invece no, invece mi dicono
che bel posto hai
sei più bella di Marilyn
o di Evelyn, non ricordo più.
Rise e dimenò il capo,
farfugliò qualcosa, come a dire sì.

Vedete come va il mondo?
Ecco com'è che va il mondo!

La mia anima non stilla miele e dolcezze,
happyness and truth, bisogni naturali.
Ma io ho una bambina, negli intervalli,
che mi accarezza i bianchi capelli.
E gli anni si fanno docili al suo tocco
mi bacia sulle guance crudeli
e giochi pazienti di rami mi intreccia
con le sue pupille da gatta.

Era d'aprile o forse era maggio?
Per caso la rincontrai
risi e dimenai il capo
accennai qualcosa come a dire sì.
Vedete come va il mondo?
Ecco com'è che va il mondo

lunedì 16 aprile 2012

è una recensione un po' vecchiotta ma il film è ancora nelle sale...

http://www.cinefilos.it/v2/good-recensione-20782

http://www.youtube.com/watch?v=Lm5JovfKxWU

ecco da dove deriva il nome del blog... film fantastico ed inquietante

WELCOME!

Questo è uno spazio in cui commentare, criticare, elogiare o stroncare in libertà assoluta spettacoli teatrali, film, libri, concerti... tutto quanto riguardi cultura ed i suoi derivati! Spero che vogliate addentare insieme a me la torta di Hanging Rock (prima che le formiche la assalgano!)