IL POETA ELIO PAGLIARANI COMPRESO IN UNA SEMPLICE STRETTA DI MANO ...
è davvero così necessario, piecevole, utile, frequentare un poeta o uno scrittore? O bastano le sue opere ad appagare la nostra curiosità? E se la personalità dell'autore ci delude rispetto all'efficacia delle sue prose o dei suoi versi? Molto spesso la delusione per la persona rischia di soffocare l'ammirazione per il suo lavoro... ma le eccezioni fortunatamente esistono.
Eccone almeno due nelle riflessioni del giovanissimo e ottimo critico Domenico Donatone
I miei rapporti con i poeti
non sono così intensi, contrariamente, forse, a ciò che un critico dovrebbe avere.
I miei rapporti con gli scrittori sono ponderati, misurati, quasi esclusivi,
riservati. Incontrare, conversare, raccontare, discutere, cenare, sono alcuni
verbi che indicano azioni possibili che personalmente tengo distanti.
Certamente conosco diversi poeti, ma la mia voracità è di libri, non di uomini.
Sono legato ad una frase di Walt Whitman: «Chi tocca un libro tocca un uomo».
Mi basta questo, non chiedo altro! Ovviamente incontro chi mi pare, e converso
con chi mi pare, senza nessuna mitizzazione. Il principio empirico da cui parto
è che i poeti vanno letti, non frequentati. Se li frequenti c’è il rischio che
ti deludano. Ti deludono da un punto di vista letterario, per cui ciò che si
scrive non sempre coincide con ciò che si pensa o si fa. Nascono delle
incoerenze che producono distanza. Vita e opera coincidono davvero poco!
Me ne sono accorto presto
e, da allora, ogni lectio magistralis
mi appare superflua, perché è tanta l’ambiguità umana, anche dei poeti.
L’immagine che ho del poeta è sacra, imperturbabile, mitica, nel senso che
nella mia mente tendo a tutelare lo scrittore dalla sua stessa immagine, invece
è vero il contrario: il poeta è lunatico, isterico, solitario e, a volte, anche
inconcludente, pessimo, distante. Lo si è detto di Picasso, lo si può dire
adesso di altri senza allarmarsi. Conoscere il poeta di persona è un rischio,
perché non è un politico di cui già sai l’inconcludenza: pensi, il poeta ha
studiato, il politico no! Ti fidi di chi dimostra almeno di capire le cose. La
conoscenza della persona fondamentalmente rischia di invaderti, di contaminare
il tuo giudizio. Un discreto e simpatico rapporto umano l’ho avuto con Vito
Riviello, perché sostanzialmente era lui in grado di agevolarlo, di togliersi
la maschera e di essere uomo, coi suoi difetti senza nessuna alterigia. Dire
che Vito era simpatico è poco, perché era divertente, una persona amabile che
della sua morte sosteneva l’inevitabilità, al punto da consigliare a chi gli
sarebbe stato vicino, pronto anche a ricordarlo, di non allarmarsi troppo
perché, diceva, è naturale che si muoia! Elio Pagliarani
Nella sostanza questo
mio atteggiamento di riservatezza non è snobistico, ma prudente, a volte direi
timoroso e deferente, con la costante ossessione di disturbare chi, in qualche
modo, essendo artista mi appare dentro un’aura di rispetto assoluto. Non è
così, il poeta è soprattutto un uomo, ed è questa la cosa fondamentale da
capire. La scuola spesso c’illude e mitizza scrittori e artisti. Non è
fondamentale credere e ritenere che il poeta stia necessariamente avanti, ma
ritenere che può esserlo per effettiva capacità critica, quanto per vanità o per
puro eloquio. Il problema forse è mio, non dell’artista che spera che qualcuno
si faccia avanti e gli dia spazio e credito. Io retrocedo, non per viltà ma per
convinzione ed esperienza (qualcuno dirà pregiudizio!). Perché mi accade questo?
Perché mi pare di non aver mai molto da dire con i poeti, bastandomi soltanto
la lettura delle loro opere. Ma anche i poeti sono uomini, e parlano. In questa
condizione trattenuta da eccessivo rispetto e forse timidezza (perché a
costringerti a farti indietro è anche un po’ di delusione, di mancanza di soddisfazione:
il critico è tra i tanti che lavora gratis!), posso dare spazio all’esigenza di
conoscere davvero uno scrittore solo nel momento in cui l’opera lo richiede.
Ciò che è scritto sulla pagina è l’imperativo a cui mi attengo, la persona è la
confidenza che mi concedo, e se l’opera è valida nasce spontaneamente un’intimità
che diversamente da ciò sarebbe pura formalità, oppure egoismo. L’opera mi
basta per conoscere chi ho davanti. Stimolare qualcuno con un’intervista ti
consente di essere contiguo ma non distante. Ed è qualcosa che vorrei
realizzare: stimolare i poeti, intervistarli, nel tentativo di restituire loro
un ruolo che hanno perduto.
Così nel giorno in cui
mi giunge per e-mail la notizia della scomparsa di Elio Pagliarani, non posso
scrivere quello che Andrea Cortellessa ha scritto sul sito Le parole e le cose (www.leparoleelecose.it:
«Ma dobbiamo continuare», 9 marzo 2012) e cioè che lui conosceva Elio e che
«della morte non si poteva parlare in sua presenza». Ecco, Andrea Cortellessa
conosce e riconosce diversi poeti, l’opposto di ciò che capita a me per scelta.
Questo rapporto può consentire di scoprire ulteriori cose del poeta. Scrive
Cortellessa: «Era superstizioso, Elio. I suoi amici lo sapevano bene, ed
evitavano di sfidare la sua collera leggendaria.» Ancora più a fondo
Cortellessa nel suo pezzo riferisce di una “esacerbata moralità”, di uno “stoicismo
brutale”, di una “passione pedagogica”, di “un’attitudine teatrale”: tutte cose
della persona-Elio Pagliarani, non della sua poesia che resiste comunque anche
se egli fosse stato un uomo timido o estroverso. Allora giova conoscere il
poeta? Giova conoscere l’oggetto-persona della tua critica? No! Giova nella
misura in cui decidi di stare dentro la poetica oppure di curiosare, di
indagare, (come fece Antonio Ranieri con Leopardi); nei casi estremi è utile a
farti chiarire quello che il poeta ha scritto.
Chi ha conosciuto Elio
Pagliarani potrà in questi giorni scrivere i suoi “coccodrilli”, esprimere i
propri ricordi, io, invece, posso scrivere ciò che non ho conosciuto ma che ho
studiato: la sua poesia, i suoi epigrammi, i suoi poemi; ovvero l’essenziale,
ciò che ha valore letterario. La conoscenza della sola opera garantisce di
poter conservare maggiore distacco ed evitare di essere troppo affezionati,
troppo coinvolti, anche in momenti come questi in cui il poeta muore e si
distacca dal mondo perché non ci sono più parole. Io che non ho conosciuto Elio
Pagliarani, (e avrei potuto certamente impegnarmi in questo, anche se la sua malattia
non facilitava l’impresa), posso dire che dinanzi a me è comparso non solo un
poeta, ma un uomo. Era il 2005, estate, lungotevere, Roma. In occasione di una
celebrazione di Pagliarani, Walter Pedullà lo presentò a me e a un mio amico.
Ci trovammo dinanzi ad un uomo prima ancora che ad un poeta. Pagliarani era stato
operato al cuore e aveva subìto una intensa riabilitazione. Il tutto era
impresso sul suo volto. I suoi occhi cercavano la vita in noi giovani che gli
stavamo davanti. Ci strinse la mano con dolcezza, ci sorrise con nostalgia. Vito Riviello
Mi è bastato questo per
capire come ci riduce la vita, ed ascoltare la lettura delle sue poesie per
capire cosa rimane della vita quando se ne va l’uomo. Pagliarani lesse anche un
messaggio rivolto alla platea: si commosse al punto che dovette più volte
interrompere la lettura. In quel caso ho pensato: se lo avessi conosciuto
davvero sarei stato all’altezza di un’amicizia? Avrei saputo stargli vicino?
Sarei stato tra coloro che quel giorno, con reale affetto, avrebbero scatenato
la sua commozione? Ipocrisie umane! Stringergli la mano mi ha riempito così
tanto di entusiasmo che a volte quello che sono i poeti non è materia solo di
studio, ma addirittura di emozione. Così posso ricordare Elio Pagliarani,
convincermi che dentro la trama dei suoi versi c’è un sentimento ed un realismo
che assimila i rapporti umani sempre così incompleti, sempre così azzardati,
che dedicarsi all’opera significa almeno per una volta capire quanto sforzo si
compie nell’essere scrittore, oltre che nell’essere uomo.
Quanto di
morte noi circonda e quanto
tocca mutarne in
vita per esistere
è diamante sul
vetro, svolgimento
concreto d’uomo in
storia che resiste
solo vivo
scarnendosi al suo tempo
quando ristagna il
ritmo e quando investe
lo stesso corpo
umano a mutamento.
Ma non
basta comprendere per dare
empito al volto e
farsene diritto:
non c’è risoluzione
nel conflitto
storia esistenza
fuori dell’amare
altri, anche se
amore importi amare
lacrime, se
precipiti in errore
o bruci in folle o
guasti nel convitto
la vivanda, o
sradichi dal fitto
pietà di noi e
orgoglio con dolore.
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