Si può arrivare a considerare la vita altrui mera esistenza biologica? Sì,
si può. E Diaz di Daniele Vicari
mostra e dimostra cosa succede quando si arriva a normalizzare nella propria
testa questa visione. Forse si innesca un processo che ci
fa tornare bambini. Che ci fa giocare con gli 'insetti' finché non sopraggiunge
la noia e l’insoddisfazione. Perché li vediamo così inermi nelle nostre mani
che finiamo per considerarli deboli, spregevoli. Tediosi.
Il macello dei ragazzi accampati nel liceo Diaz, durante il G8 di Genova, perpetrato da poliziotti che così hanno deciso di sfogare giorni, mesi, anni di frustrazione, rabbia e violenza represse, viene ripreso da Vicari sbattendo in faccia allo spettatore la brutalità inaudita dell’atto che appare ancora più efferato perché guidato da motivazioni che sono assurde per tutti tranne che per i burattinai che da sempre tessono le fila del sistema in cui viviamo. Queste motivazioni non possono non ricordare lo stralcio di un’intervista rilasciata da Francesco Cossiga nel 2008, quando buona parte dell’universo scolastico protestava contro i provvedimenti della Gelmini. L’ex Presidente della Repubblica dispensava consigli sulla più efficace procedura da seguire durante le manifestazioni, per far sì che la violenza delle forze dell’ordine sui civili venisse tollerata e giustificata:
Il macello dei ragazzi accampati nel liceo Diaz, durante il G8 di Genova, perpetrato da poliziotti che così hanno deciso di sfogare giorni, mesi, anni di frustrazione, rabbia e violenza represse, viene ripreso da Vicari sbattendo in faccia allo spettatore la brutalità inaudita dell’atto che appare ancora più efferato perché guidato da motivazioni che sono assurde per tutti tranne che per i burattinai che da sempre tessono le fila del sistema in cui viviamo. Queste motivazioni non possono non ricordare lo stralcio di un’intervista rilasciata da Francesco Cossiga nel 2008, quando buona parte dell’universo scolastico protestava contro i provvedimenti della Gelmini. L’ex Presidente della Repubblica dispensava consigli sulla più efficace procedura da seguire durante le manifestazioni, per far sì che la violenza delle forze dell’ordine sui civili venisse tollerata e giustificata:
''Maroni dovrebbe fare quello che
feci io quando ero ministro dell'Interno (Vedi in particolare le notizie
inerenti l’omicidio di Giorgiana Masi nel 1977).
In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito (…) Lasciar fare gli universitari. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. (…). Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. (…). Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. (…). Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. (…). Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì’’.
In primo luogo lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino di dodici anni rimanesse ucciso o gravemente ferito (…) Lasciar fare gli universitari. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. (…). Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. (…). Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. (…). Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. (…). Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì’’.
Ancora. queste motivazioni non possono non essere
accostate alle riflessioni lette un po’ di tempo fa sul libro intitolato Chi disturba i manovratori, di Marco
Palladini, che a sua volta commenta le teorie del filosofo Giorgio Agamben
sullo ‘stato d’eccezione’. È in questo tipo di stato che si sperimenta un totalitarismo travestito da
democrazia, dove qualsiasi pratica repressiva ai danni dei soggetti non
integrati nel sistema viene normalizzata e normativizzata. Il totalitarismo
dei nostri tempi non sarebbe altro che una guerra civile permanente e ‘legale’
che permette l’eliminazione fisica non solo di avversari politici ma di intere
categorie di individui che per qualche ragione risultano non compatibili con il
sistema. Citando anche Judith Butler, Agamben si concentra in particolare
sulla condizione dei prigionieri di Guantanamo. Il carcere di massima sicurezza
diventa il luogo simbolo in cui la vita umana transita da una dimensione
sociale e giuridica (bíos), a quella della mera essenza biologica (zoé).
Diaz è tutto questo? Sì, è
tutto questo. Ed è anche un’ottima regia, un eccellente ingranaggio che prende
il via da un particolare frammento che fa sì che tutta la storia si dipani a
raggiera e che venga vista e vissuta da molteplici punti di vista. È anche un
film in cui sequenze a rallentatore, accompagnate da una buona colonna sonora –
a volte troppo presente – assumono le sembianze di brevi, inquietanti
videoclip. È la pellicola di un regista che non si è dimostrato ‘egoista’, che
ha riconosciuto la miriade di contributi di sconosciuti video maker e degli
organi di stampa presenti al G8 e gli ha dato ampio spazio. È un’opera che
potremmo anche azzardarci a definire ‘corale’, nonostante il coro non canti ma
urli di dolore e di rabbia. In questo senso un plauso particolare va’ anche ad Elio
Germano e Claudio Santamaria che accettano di rinunciare coscientemente al
ruolo di ‘attori famosi’ e si mischiano nella calca, si fanno davvero piccoli
per dar visibilità alla storia, alla vischiosità di un sangue che non dovrà essere pulito.
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