PRIMA
Mi pesa tutto
lo sterno, mi fanno male le tette… Uh, devo vomitare ma non voglio vomitare. Devo
volare a casa, devo volare. Fra poche ore sono a casa, che bello!
Dove sto?
Lenzuola
zebrate… ma che è? Quant’è grezza sta signora… Mi facevano ridere quelli di Una notte da leoni quando
si svegliavano pesti e non si ricordavano dove stavano. Poi ne combinavano di
tutti i colori per scoprire che ne avevano combinate di tutti i colori ma io
non scoprirò un bel niente, solo che ho bevuto troppo ieri sera. E c’era
Bradley Cooper a Una notte da Leoni,
quest’anno ha vinto pure l’Oscar per Silver Lining Playbooks (no, la nomination ha avuto… o ha vinto alla
fine? Boh. No, ha vinto Daniel Day Lewis con Lincoln e Ben Affleck… credo). Che fico Bradley Cooper. Però ora non posso
pensare a Bradley Cooper, devo fare la valigia, salutare Mrs Angela e devo
volare a Milano, poi treno per Roma, poi pullman della fottuta Arpa e Teramo.
Voglio andare
da mia nonna, c’ho voglia di brodo con le scrippelle mbusse dopo due settimane
di paprika, sushi e wok me le merito, ma mo mi vado a comprare le schifezze al
drugstore di Pennine Lane che c’ho troppa voglia di sale misto a paprika, mista
a chimica… brr!! Freddo… freddofreddofreddofreddo!! Però c’è il sole a Londra.
È Marzo. C’è
il sole.
DOPO
Quando apre gli
occhi le ombre tentano subito di addormentarla di nuovo.
Un viavai placido e
nero che spezza il sole già bucherellato dai fori della serranda.
È un gioco
inconsapevole, ombre cinesi, un gioco che per mezzo secondo distoglie dal
quesito fondamentale: “Dove sto cercando di svegliarmi?”.
Un altro letto di
fronte al suo. Singolo. Nel libro dei sogni il letto singolo rappresenta
“l’arrivo di un amore sincero”. “Io ce l’ho. Ma non so dov’è adesso. Lo chiamo
appena mi sveglio…” Il letto è perfettamente rifatto, sul comodino accanto c’è
un libro dalla copertina fucsia. “Bianco e fucsia. Mi piace come abbinamento”.
Una fitta alla testa, fortissima, lancinante. “E’ il cervello che si ribella ai
miei accostamenti di colore”. Sorride, le labbra si crepano, poi si spaccano.
Sangue. Il sapore in bocca rinfresca. Anche la pelle delle guance è tirata.
Acqua. È accanto a lei ma non ce la fa ad afferrare la bottiglia. La vede, sa
che è lì, di vetro. Non ce la fa. Non importa. Gli occhi anche sono di colla.
Le ombre ci stanno
riuscendo, la stanno spegnendo di nuovo, la loro culla la fa sentire ospite di
un feretro che dondola. Il sangue cola dalle labbra e rientra nell’organismo.
Pensa alla parola inglese grave, il
suo suono, più che il significato, esprime alla perfezione il suo stato: si
sente così, gravata. Vorrebbe alzarsi dal letto ma il dolore è ovunque. La
schiena, le spalle, il collo, le gambe.
“Non so dove sono…
ma lo posso scoprire anche dopo… dopo. Ora no. Devo dormire, non posso
svegliarmi adesso, tanto sono a casa mia, sono sicuramente a casa mia e questo
è solo un sogno, uno dei miei sogni in cui mi sveglio e non so dove mi trovo.
Sento voci, quel ragazzo che parla, fuori dalla stanza è sicuramente mio
fratello… questo letto accanto al mio è il suo, mi hanno messa nella stanza di
quando eravamo piccoli. Forse sono tornata a casa ubriaca, probabile… Però è
una voce troppo scura… forse è papà. Si è papà, sicuramente. E se non è lui è
lo zio, lo zio che ci è venuto a trovare. Sì, somiglia proprio alla voce dello
zio. Però adesso tutto si spegne, si sfuma anche il pensiero per quella cosa.
Non voglio pensarci a quella cosa… perché il problema è che mi sento come se ci
fosse una zona morta che mi fa paura… e ci pensavo anche mentre dormivo… e
quindi ecco, vuol dire che non sto sognando.
Non sto sognando.
Mio padre si chiama
Ezio, mia madre Francesca, mio fratello Gianluca. Io sono nata il 24 maggio
1984 a mezzogiorno…”
…Nata il 24 05 1984 A Teramo, Abruzzo, residente in
via C. Colombo 14, Cap 64100… nata il… a… codice Fiscale… professione: libera
professionista. In cerca d’impiego. Dai… Disoccupata. Laureata in Lettere. Il
massimo sì, gli esami li ho dati che ero ancora sbronza dalla sera prima. Ciò
dimostra che certe facoltà sono più facili delle altre, anzi che certe lauree
si possono prendere anche cazzeggiando. E abbiamo fatto bene. Il lavoro tanto
non esiste più.
Se tornassi indietro non ci andrei mai all’università.
“Segno zodiacale:
Gemelli. Forse c’è l’altra gemella che è sveglia, da qualche parte. Mi sono
laureata, ho lavorato, non pagata o poco pagata, sto cercando di diventare una
giornalista, solo per questo merito di morire. In Italia la situazione del
governo è instabile, la crisi sta divorando ogni cosa.
Il mio ragazzo si chiama
Federico, è un musicista, solo per questo un giorno lo uccideranno.
Quindi:
Federico e… dobbiamo aspettare Federico e… stasera
viene anche Federico con…”
Nulla, niente, nada,
nero. Paura, lacrime. Una fitta al petto a ogni singhiozzo. Ma anche loro
rinfrescano il volto che sembra morto da anni e quando prova ad aprire la bocca
è come se la mascella si disincagliasse da tutto il resto.
È tutto piano, è
tutto immobile.
Sul corpo, sulla
faccia, tra i denti, una pressione secolare. Il suo organismo non ha curve, il
suo volto e gli occhi. Solo valichi.
È una pianura che
declina a valle, che scende.
Scende.
Scende…
“Devo chiamare
qualcuno, ma non ho più voce. Chissà come facevo a cantare… perché io cantavo
anche. Cantavo. Quando ero viva, ora forse sono morta e l’aldilà non è che un
letto che fissa un altro letto uguale e vuoto e aspetta che qualcuno lo
riempia”. Ma i morti non hanno paura. E prima di sapere dove si trova, prima di
sapere perché non sta sognando c’è quel terrore che si esprime quella frase di
sei parole che non vuole pensare e che pensa… è una frase simmetrica,
sintatticamente e grammaticalmente senza difetti. È immersa in una
consapevolezza fluida e pesante, come il feto nel liquido amniotico…. Così…
…Mentre chiude gli
occhi…
Non mi ricordo come mi chiamo.
PRIMA
Non è stato affatto un errore venire qui comunque.
Anche solo per due settimane.
Eh ma qui… il tempo fa schifo… piove sempre… e bla,
bla, bla…
Il cielo di Londra tira fuori il sole quando meno te
l’aspetti e anche senza sole credo sia un cielo più spettacolare di quello che
abbiamo noi. Poi ogni volta è come se la città mi facesse un piccolo regalo e
preparasse almeno una settimana di indian summer. Sole a più non posso e
temperatura mite.
Queste nuvole che non assumono forme… non sembrano
conigli, né gatti, né papere, né tigri, né pistole, né gente che si bacia… sono
definite, costruiscono spazi: da una parte l’azzurro, dall’altra loro. Come due
squadre di calcio. Solcate solo dalle scie degli aerei.
L’atmosfera è diversa, tutto è nitido nonostante la
nebbia, l’umidità e il vento, regali non graditi dell’Atlantico, un mare
grigio, viola e blu. I colori di Londra.
Qui non sono violenti, al contrario di quello che la
gente dice non hanno nulla di freddo. Solo, è come se fossero più visibili agli
occhi dell’uomo. In questa città tutto si dilata, anche nelle periferie che
nessuno visita. Qui a Golders Green, solo chiese, charity shop, negozi di ottica
degli ebrei e piccoli market. Mi piace quello di Pennine Lane, vicino alla
lavanderia degli iraniani. Mi ricorda la prima volta che venni qui. Mi dicevano
che la zona quatto era lontana dal centro, dopo il primo giorno ripensando alle
paure che mi avevano inculcato – sarai lontanissima – mi venne da ridere.
Evidentemente non hanno mai vissuto a Roma.
La stazione qui è fiancheggiata da un piccolo giardino
che si riversa su una strada che credo porti a Camden Town e soprattutto verso
uno dei luoghi in cui la mia follia durante la prima visita qui si manifestò in
tutto il suo splendore. La stazione dei taxi. Insieme agli operatori
telefonici, l’ultima notte, ubriaca e reduce da una serata paranormale, rimasi
a cianciare della mia permanenza, di quanto gli inglesi erano accoglienti e
stronzi al tempo stesso – loro concordavano, soprattutto uno scozzese che
ovviamente non la finiva di ridere – e di quanto fossi così fuori da non
ricordare con esattezza come cazzo ci ero finita lì dentro – il mistero fu poi
svelato, fu tutto grazie a uno spagnolo, mio compagno di corso, che aveva fatto
la strada con me sull’autobus fino ai taxi e poi aveva proseguito a piedi
affidandomi a loro. Me lo disse quando chattammo su Facebook. Mi disse anche
che non era successo niente perché non ero il suo tipo - mangiando banane e
cioccolatini che loro mi offrivano. Quando vengo qui, per evitare il cibo che
hanno, mangio sushi e frutta, soprattutto banane, e Londra oltre a tutte le
cose belle che mi ricorda, mi ricorda anche che esiste un disagio chiamato
stitichezza.
Dal verso anteriore la stazione di Golders Green si
affaccia sulla strada principale che non so per quale alchimia porta
direttamente a Oxford Street, e quando non c’è traffico con l’autobus ci arrivi
in un quarto d’ora. Durante il tragitto da vedere c’è poco, ma se ti piacciono
le case alveare e lo stile inglese ti rifai gli occhi.
Io non ho bisogno della compagnia di nessuno quando
sto qui. Certo, quando conosco gente non mi dispiace, ma ricordo che la prima
volta molti mi telefonavano e si stupivano del fatto che passeggiassi spesso
sola. Io vado anche al cinema da sola, tipo… loro strabuzzano gli occhi. Per me
è normale. Solo per questo non vorrei mai essere nei panni della maggior parte
delle persone che conosco.
DOPO
Capelli ricci dorme.
Ha ribattezzato così la sua compagna di stanza, riesce solo a intuire la sua
sagoma nei pochissimi, rari istanti di veglia che ha avuto. Se solo fosse facile
darle anche un volto, potrebbe essere una persona che conosce, ma dall’odore sa
che non lo è. L’olfatto è l’unico senso che ancora conserva inalterato, anzi è
come se fosse amplificato dal peso che opprime il corpo e la mente.
Le piace. Le ricorda
quello di una sua compagna di classe a Teramo, Luisa, che odorava di casa di
campagna in estate. “Ecco, vedi? Mi ricordo di lei, che era la più brava della
scuola, che il liceo classico di Teramo era un covo di merde e di figli di papà
che giocavano a fare le zecche disadattate. Perfino il tanfo dei corridoi e di
certi professori all’ultima ora…”.
- Ce la fai ad
alzarti?
Su di lei. Avverte
il calore di qualcuno, l’odore della casa di campagna, molto vicino. Un
luccichio nell’oscurità. È Capelli ricci che le sorride. Vorrebbe dirle “no,
non ce la faccio. Aiutami. Aiutami Capelli ricci. Tu sicuramente non ti chiami
così ma tu almeno sai come ti chiami. Tu ridi, sorridi, ma qui non c’è un cazzo
da ridere, dovresti preoccuparti, chiamare aiuto disperarti al mio posto, darmi
voce perché io non ho più voce. Ero su un aereo diretta a casa, e ora sono qui.
Qui dove? Dove sono Capelli ricci? Capelli ricci… e pelle olivastra… e mani
grandi dalle dita affusolate che si avvolgono al petto uno scialle color
salmone… sembri creola, Capelli ricci… non hai il volto minaccioso. Non mi
ucciderai perché mi continui a sorridere e non so, ma il tuo sorriso mi
suggerisce che sono qui da tanto tempo.
Da quanto tempo sono
qui, Capelli ricci? Cosa c’entri tu in questa storia? Perché prima dormivi e
ora non più? È già mattina? E se lo è, perché non me ne accorgo, perché non
sembra, perché quando riesco a disincagliare le palpebre mi sembra sempre
notte?
Di solito preferisco stare dalla parte del finestrino in pullman. Non oggi.
Mi fa male. Mi rode guardare chi rimarrà e si godrà Londra al mio posto. Un giorno ci tornerò con Federico, imparerò a suonare la chitarra e vivremo di musica. Mi piace pensarlo mentre vado via, ma chi voglio fregare... eppure sarebbe così semplice, è così semplice andarsene, ma mi piacerebbe andarmene per scelta, al 100%, senza neanche un briciolo di disperazione. La verità di base è che non voglio tornare in Italia, anzi non voglio tornare a Roma perché Roma è una città di merda e Sorrentino potrebbe uccidere anche dieci turisti giapponesi al cospetto della grande bellezza, ma la maggior parte degli immigrati nella capitale del mondo (morente) si ricorda solo la grande Prenestina, o la grande Tiburtina... ho bisogno di ordine, o almeno di disordine che almeno provi a trasformarsi in altro...
"E' occupato questo posto?".
Alzò la testa, un volto familiare le sorrideva.
"Mariiiiiii!!!!! Che bello, facciamo il viaggio insieme!!"
Si spostà per far passare la ragazza che intanto
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