domenica 23 marzo 2014

Consigli per "fare dell'universo intero la propria patria"


1 Pensi che sia capitato solo a te e ti stupisci come di un fatto inaudito, perché, pur avendo viaggiato a lungo e in tanti posti diversi, non ti sei scrollato di dosso la tua tristezza e il tuo malessere spirituale? Devi cambiare animo, non cielo. Attraversa pure il mare, lascia, come dice il nostro Virgilio, che

Scompaiano terre e città, all'orizzonte,

i tuoi vizi ti seguiranno dovunque andrai.

2 Socrate, a un tale che si lagnava per la stessa ragione, disse: "Perché ti stupisci se viaggiare non ti serve? Porti in giro te stesso. Ti perseguitano i medesimi motivi che ti hanno fatto fuggire". A che possono giovare nuove terre? A che la conoscenza di città e posti diversi? Tutto questo agitarsi è vano. Chiedi perché questa fuga non ti sia di aiuto? Tu fuggi con te stesso. Deponi il peso dell'anima: prima di allora non ti andrà a genio nessun luogo.

3 Pensa che la tua condizione è simile a quella che il nostro Virgilio rappresenta nella profetessa esaltata, spronata e invasata da uno spirito non suo:

 La profetessa si dimena tentando di scacciare il dio dalla sua anima.

Vai di qua e di là per scuoterti di dosso il peso che ti opprime e che diventa più gravoso proprio per questa tua agitazione; così in una nave il carico stabile grava di meno, mentre, se è sballottato qua e là in maniera diseguale, fa affondare il fianco su cui pesa. Qualunque cosa fai, si risolve in un danno per te e gli stessi continui spostamenti ti nuocciono: tu muovi un ammalato.

4 Ma quando avrai rimosso questo male, ogni cambiamento di sede diventerà piacevole. Anche se verrai esiliato in terre lontanissime o sarai trasferito in un qualsiasi paese barbaro, quel posto, comunque sia, ti sembrerà ospitale. Conta più lo stato d'animo che il luogo dove arrivi, perciò l'animo non va reso schiavo di nessun posto. Bisogna vivere con questa convinzione: non sono nato per un solo cantuccio, la mia patria è l'universo.

5 Se ti fosse chiaro questo concetto, non ti stupiresti che non ti serva a niente cambiare continuamente  regione, perché sei stanco delle precedenti; ti sarebbe piaciuta già la prima, se le considerassi tutte come tue. Ora non viaggi, vai errando e ti lasci condurre e ti sposti da un luogo a un altro, mentre quello che cerchi, vivere serenamente, si trova dovunque.

6 C'è forse un posto più turbolento del foro? Anche qui, se è necessario, si può vivere tranquilli. Ma se
potessimo decidere di noi stessi, fuggirei lontano anche dalla vista e dalla vicinanza del foro; come i luoghi insalubri minano anche una salute di ferro, così per uno spirito sano, ma non ancora perfetto e vigoroso, ci sono posti malsani.

7 Non sono d'accordo con quelli che si spingono in mezzo alle onde e prediligono una vita agitata e lottano ogni giorno animosamente con mille difficoltà. Il saggio dovrà sopportarle, non andarsele a cercare, e preferire la tranquillità alla lotta; non giova a molto essersi liberati dai propri vizi per poi combattere con quelli degli altri.

8 "Trenta tiranni," ribatti, "fecero pressione su Socrate, ma non poterono fiaccarne lo spirito." Che importa quanti siano i padroni? La schiavitù è una sola; se uno la disprezza, per quanti padroni abbia, è libero.

9 È tempo di finire, purché prima io paghi il pedaggio. "Aver coscienza delle proprie colpe è il primo passo
verso la salvezza." A me pare che Epicuro abbia espresso un concetto molto giusto: se uno non sa di sbagliare, non vuole correggersi; devi coglierti in fallo, prima di correggerti.

10 Certi si gloriano dei propri vizi: e tu pensi che cerchi un rimedio chi considera virtù i suoi vizi? Perciò per quanto puoi, accùsati, fa' un esame di coscienza; assumi prima il ruolo di accusatore, poi di giudice, da ultimo quello di intercessore; e talvolta punisciti.
Stammi bene.

Lucio Anneo Seneca LETTERE A LUCILIO (28)

giovedì 13 marzo 2014

On the sunny side of the street

Pepper & the Jellies

Questo è il mio gruppo musicale, di cui vado più che fiera.

Nasce dalla passione che, da quando ho 18 anni, nutro per Bessie Smith, che è stata alimentata grazie all'incontro col pianista Paolo Fornara e al periodo trascorso a cantare con i Vaudeville Stomp Revue.

I Pepper & the Jellies ripropongono successi e brani meno noti appartenenti all'universo dei blues scollacciati e delle drinkin' songs, con riferimenti al vaudeville, all'era dello swing e con un pizzico di dixieland. 

Enjoy it!







mercoledì 12 marzo 2014

Discovering Oliver Wilde

Red Tide Opal in The Loose End Womb, by Oliver Wilde

Introspective and captivating. These two adjectives can define Red Tide Opal in the Loose End Womb, the second album of the Bristolian singer songwriter Oliver Wilde and from May 5th it will be available on Howling Owl Records.

The last work of this young musician born in Bristol, is an organic progression from his critically acclaimed debut- a Brief Introduction to Unnatural Lightyears - in which the sonic experimentation, the low-fi imprint and the surreal intimate imagery mix themselves with electronic suggestions and autobiographical references.

In this album, Wilde, armed with a guitar, a microphone and 8 bit loops, plays (games) with rhythm and harmony. Some melodies are comparable to Air’s tune of Talkie Walkie and Moon Safari, because of their electronic imprint, but the songwriter is also evidently inspired by Kings of Convenience and masters like Nick Drake, Daniel Johnston and Elliot Smith, in his singing style too.
Red Tide Opal In The Loose End Womb has been realized in 12 months and it’s headed up by the song On This Morning. Violins and cellos followed by drums, voice and melody’s crescendo, launch the lyric which, at the beginning, looks like an old Irish song.

Other tapes essential to be mentioned are Stomach Full of Cats – whose video clip is available on YouTube - with its synth swirls and its catchy theme. Another important song of this album, maybe the more autobiographical, is Vessel, written during Wilde’s time spent in hospital recovering from heart complications.



“Lyrically, ‘A Brief Introduction to Unnatural Lightyears’ felt like a series of introspective, often personal confessions whereas ‘Red Tide Opal In the Loose End Womb’ explores relationships occurring between those close to me and abstract concepts through dreamlike prose”, Wilde said, describing the last album. “Though, at the heart, Red Tide Opal In the Loose End Womb is still a bedroom recording, musically the overall palette overflows into a wider variety of textures. Also, as a natural progression through developing the live show and entrusting a group of musicians that started out as a ‘backing band’, they then became more involved and enabled me to filter their ideas into my world”.

Oliver Wilde tour’s dates have been recently announced. He will also come back to Bristol on Friday 9 May 2014 to perform at The Lantern in The Colston Hall.

For more information please visit www.oliver-wilde.com.

martedì 11 marzo 2014

Frida Kahlo, due mostre in Italia

Frida Kahlo in Italia con due mostre, a Genova e Roma

Una delle esposizioni più complete dedicate alla grande artista.

110 le opere scelte, che potranno essere ammirate a Roma dal 20 marzo al 31 agosto e a Genova dal 20 settembre 2014 al 15 febbraio 2015. www.scuderiequirinale.it

Imelda May in Bristol

Imelda May in Bristol

Two hours of pure rhythm and roars

IMELDA MAY AT THE BRISTOL INTERNATIONAL JAZZ AND BLUES FESTIVAL


She doesn’t speak a lot on stage, but her message is clear: if you want to know Imelda May’s music, prepare yourself to be swamped by at least two hours of pure rhythm and roars.
This Irish artist’s earthquake shook Bristol’s Colston Hall, during the final evening of the International Jazz and Blues Festival, thanks to an amazing musician’s quartet and a faultless set list.
With this performance, the eclecticism of this 39 years old musician showed in all its splendour. Her voice, sometimes sweet and sometimes gravelly (it has been likened to Billie Holiday’s tune) is sensual and captivating, as well as the power of lyrics like one of the most famous Love Tattoo, by the same named album, and Jonny got a boom boom, maybe the most known, also due to the feature on the 2010’s movie Wild Target. Thanks to these songs, May can also show her ability to sing and play percussion at the same time as she demonstrated with the bodhrán and tambourine. Aside from her predominantly rockabilly style, songs like Proud and Humble with its country and bluegrass echoes, the fine Kentish Town Waltz, one of her most autobiographical pieces about her lifetime in London with her husband and guitarist Darrel Higham, and many others tracks, prove her ability to mix many genres and to give voice to the historical tradition of Irish melodies.
The singer announced her next album release, named Tribal, due June 2014. In the album teaser, available on May’s official website, we see her coming in a biker’s club, accompanied by the first single’s guitar riffs. Tribal is definitely a song with the rock side of this artist is predominant.  
The nominee Kentish Town Waltz was recorded in New York with music legend Lou Reed, as the fifth single extract from her last album Mayhem. It reached Number 1 in the Irish charts helping May to gain further recognition in the United Kingdom and to feature with artists like Jeff Beck.
As we said before, Imelda’s influences are folk and rock and roll, especially the music of Buddy Holly and Gene Vincent, but her production is inspired by blues kings like Muddy Waters and Howlin’ Wolf and, in some songs, she seems to pay a due even to the 50’s American female bands like the Shirelles and the Chordettes.
Speaking about her fantastic and versatile musicians, Dave Priseman (trumpet, flugelhorn, percussion and guitar), Darrel Higham (guitar) and Steve Rushton (drums) a particular mention due to the rhythmic “rock pillar” of the exhibition, Mister Al Gare, which with his double bass slapping (and also with his ukulele, played during a duo with Imelda and creating a very intimate atmosphere) set fire to the stage and to the audience.
Reviewed by Ilenia Appicciafuoco for 365Bristol 5/5
A day in Bath
MINDKILLA Gang gang dance

NOMAN'S LAND

Il diario volò circa due metri e mezzo più in là. Continuò ad allacciarsi le scarpe bestemmiando tra i denti. L’auto era lontanissima.
“Ngul’a mammt…”.
Si alzò in piedi e si sistemò lo zaino sulla pelliccia sintetica. Raccolse il diario. Sulla quarta di copertina c’era solo un po’ di polvere, che le mani dalle unghie corte, curate e smaltate di giallo spazzarono via. L’auto era invisibile.
“Quello ti stava pure a guardà, Mo!”, Cecilia sbatteva a stento le ciglia incollate dal rimmel. Si si… continua a comprà i trucchi dai cinesi che un giorno ti casca la faccia. Lei li prendeva nel negozio al centro di Corso San Giorgio. Veramente, ormai, aveva trovato pure chi glieli regalava… quella mattina era la volta del rossetto color sangue 752 Christian Dior, insieme a matita color burro all’interno della palpebra superiore, sempre Dior, blush fragola di Kiko, bb cream 15 della Locherber (niente fondotinta), e infine il tocco di vera classe: ombretto viola glitterato Wet & Dry di Collistar. Le piaceva andare a scuola, più di quanto le piacesse cuppare, perché a scuola, lei, era indubbiamente qualcuno, adesso più che mai. Bastava solo dare un’occhiata all’annuario delle classi 2001-2002 per rendersene conto... Però doveva comunque arrivare in ritardo, mica voleva mischiarsi con quelle dodici sfigate della sua classe che si incontravano per i tigli alle otto del mattino per raccontarsi cazzate o guardare quelli della seconda o terza liceo. Se le cagavano era solo per prenderle per il culo, figurarsi. Che poi quelle, le sue compagne, non erano neanche cesse. Alcune – lei non lo avrebbe mai detto ad alta voce – forse, se si fossero aggiustate avrebbero dato da penare a lei e a Cecilia. A Cecilia sicuramente. Però quei maglioni, quei capelli ricci, quei cazzo di diari con frasi di cantanti che sapevano troppo anni Novanta, quegli iPod stracarichi di vecchiume, cioè… secolo scorso! Una volta, a una cena, Danila aveva portato uno con cui era uscita per un periodo per farlo conoscere a lei, e questo tizio era rimasto tutta la sera a parlare con Chiara, nonostante il rossetto viola, che sembrava una appena strangolata.
Insomma, alla fine questo, con la scusa che le doveva prestare assolutamente un dvd introvabile di un film in bianco e nero su un gabinetto, non si sa che cazzo, si era preso il suo numero, e quella stronza praticamente non faceva che dirgli “Guarda che puoi lasciarlo a Monia che me lo porta a scuola, man, non serve che mi telefoni!”… e Monia avrebbe voluto pestarla e quella grassona vestita di nero lo sapeva. In palestra, il mattino dopo, le continuava a dire “O Mo’, ma che mi frega? Ma tienitelo il trentenne, io un amico trentenne già ce l’ho… e da quanto è coglione mi basta… quello non mi si voleva fare, fidati…”.
Basta. Insomma, Monia alla fine c’era uscita lei con questo e nel giro di due ore gli aveva fatto cambiare idea. Fino alla settimana dopo. Chiara però non gli aveva mai risposto. Stronza. Adesso stava lì alla fermata del bus, a distanza da lei e Cecilia, appoggiata al palo immersa nel solito libro. Li leggeva pure lei i libri, ma mica di fronte a tutti… ma la rossa aveva bisogno di questo per rimorchiare gli sfigati come lei. Di sicuro era pure vergine.
“Eccolo!”, disse Cecilia, poi vide Chiara. “O zoccola!”, “Ciao troje”, rispose l'altra distogliendo l’attenzione dal libro e mimando l’accento francese. Era il loro saluto da compagne di scuola, non si stavano antipatiche, con grande disappunto di Monia. La darkettona vide il pullman che si avvicinava e si preparò per salire. Sarebbe arrivata in anticipo, figurarsi…  
Lei, invece, sarebbe arrivata in ritardo anche quel giorno, c’era ancora il tempo per una, anche due sigarette. E in questo Cecilia la seguiva a ruota, la seguiva a ruota in tutto. Nello stile e nel gusto no. Non le stava dietro, neanche nella scelta degli uomini, neanche nell’antipatia a tratti per la darkettona.             
Ma ce l’aveva anche Monia, ora, il suo trentenne. E non erano amici.

-

“Insomma… tipo, io… secondo me i sogni premonitori esistono. Io ce n’ho uno per quando le cose mi devono andare bene e un altro per quando mi devono andare male. Tipo… quando mi devono andare bene io mi sogno che sono Jim Morrison. Che sono… come lui e agito l’uccello e mi muovo sinuosa e, tipo… impazziscono tutti per me, donne, uomini, bambini, professori… tutti. E quindi niente, in questo sogno tutto il cortile della scuola mi venera e il megafono non lo suonano più per andare contro questo o quello ma per dirmi che io sono un mito, e c’ho un vestito tutto incollato al corpo che sembro un serpente e sono… cioè sono abbronzata!...”
“Da quando il megafono si suona, Emì?”
“Ah… eh?… che ho detto? Che si suona? No, no, non lo usano per urlare…”
“Ma per dirti quanto sei figa, ok…”
“Eh”
“E tu ti sogni di agitare l’uccello come Jim Morrison?”
“Sì”
“Nel cortile della scuola?”
“Sì”
“Quanti anni hai, Emì?”
“Quarantanove a maggio”
“Checcazzo! ti sogni ancora la scuola?”
“E che devo sognare, Noman? La stazione… l’ospedale o la chiesa?? È ovvio che nei sogni in cui sei figo o in cui qualcuno ti fa davvero del male o in cui poi ti svegli con il magone c’è sempre la scuola di mezzo”.
“Ok…”
“E poi, comunque, non mi sogno il cortile del liceo classico, ma dell’artistico”
“Ah, allora… e il sogno che ti predice le disgrazie?”
“Padre Pio”
“Ah!”.
Emilia, detta anche Milly, passò la lattina di birra a Emanuele, detto Noman, che bevve un sorso per poi restituirla subito alla donna. Un gruppetto di 13, 14enni, taglio di capelli alla Adolf, borse a tracolla e piercing, ciascuno in varie zone del labbro, guardò la scena con espressione schifata. Ma a Noman, Milly non avrebbe mai fatto schifo. O forse quelli si erano schifati di lui. O di tutti e due.
Milly intanto spolverava la sua borsetta a pallini rossi e neri, molto graziosa. Come graziosa era ancora lei, nonostante tutto.
“Caro, grazie per la birra… Io me ne torno a San Francesco che forse a quest’ora il bagno è libero. E comunque, a proposito, stanotte è successo. Beh, amen… m’ vuj arlavà li dint”.
“Ciao Emì”.    
I tacchetti sui sampietrini la facevano incespicare appena.
“…Noman!”
“Ohu Chià!”
“Ohu, anniottanta oggi più che mai eh?!”
“Perché?”
“Mi pari Joey Tempest co quel cazzo di giubbotto”
“Ha parlat’ Mary Poole Smith…”.
Chiara aveva i ricci tutti spettinati, il rossetto rosso e la matita nera. Voleva assomigliare a Robert Smith e ci riusciva alla grande. Solo che lei era rossa.
“Magari… vabbò, comunque ecco qui”.
“Già te l’ì finit??”
“Si!”
Gli porse la copia de L’innocenza di Padre Brown, “Un grande! Mi devi prestare altri libri di Chesterton”.
“Va bene! Però prima, pensandoci bene, ti devo dare un po’ di Agatha”
“Noooo!!! Chesterton!!!”.
Era comunque una mezza bambina, Chiara.
“Non ti puoi appassionare di gialli senza leggerti Agatha Christie”
“No?”
“No”
“Ok…”
Ecco, appunto. Ubbidiente. E sarebbe stata così fino ai 24 anni almeno. Poi avrebbe iniziato a capire che in fondo anche lei era una donna, e non brutta, e avrebbe iniziato a fare diete, usare la piastra e considerare quelli come lui poveri stronzi da disprezzare. 
“Ti aiuta pure a sviluppare la logica, Chià. Tu per la logica sei na chiavica.”
“Lo so”.
Chiara guardò Noman che frugava nella borsa a tracolla.
È illogico, ad esempio, il fatto che io ho 17 anni e tu 33 e che io, tanto per dirne una, ti amo.
Quella mattina non si era messo la brillantina e aveva i capelli tutti scomposti. Le ciocche chiare gli ricadevano a ciuffi sulla fronte. Sembrava Damon Albarn, solo che non era gracile. Ed era alto. Damon Albarn non sembrava alto.
La maglietta troppo corta gli scopriva appena la pancetta che anni di birre avevano gonfiato solo quel tanto che ora serviva per eccitarla. Le piacevano pure i gomiti di Noman.
“Sveglia, Chià!”.
Chiara e le sue 43 gradazioni di viola sulle guance presero il libro. Un delitto avrà luogo.
“Grazie… ora devo andare a scuola… Grazie Emanuè… eh, cioè… Noman”
“Guarda che se mi chiami Emanuele è ok”
“Ok, allora ciao”, e corse verso l’ingresso.
Voleva morire coi suoi gomiti addosso.



Noman, al secolo Emanuele Neri, costeggiò il maledetto liceo classico pensando che, tutto sommato, aveva fatto bene a svegliarsi presto. Aprire gli occhi alle sette per andare a lavorare era una tortura, ma farlo perché dovevi aspettare un’amica all’ingresso della scuola – seppur scuola di merda - mantenendo la consapevolezza che poi avresti potuto bighellonare per tutti i bar di Teramo, era un’altra questione. Il mercoledì non lavorava. Non aveva programmi, nulla a cui pensare e quelli erano i giorni che amava di più. Pensò di passare in tabaccheria a fare due chiacchiere con Domenico, ma poi cambiò idea e imboccò la strada dei tigli. Caffè e sigaretta sulla panchina di fronte al busto di D’Annunzio, occhi puntati su vecchi e mamme. Non necessariamente milf. 
Nonostante disprezzasse molte caratteristiche del posto in cui si trovava, pensò che era stato fortunato a nascere nell'unico cesso in cui avrebbe comunque potuto vivere. Non era una questione di radici, lui non aveva esattamente un animo crepuscolare. Lui non avrebbe mai saputo dire il perché di quella convinzione, ma la verità è che era un fatto di somiglianza. Quella città, forse l'intera provincia, somigliava molto a Emanuele detto Noman.
Tanti sapevano come si chiamava, ma nessuno la conosceva davvero. Era sempre desiderosa di rimediare agli errori del passato e sempre pronta a compierne di peggiori. Anche se qualcuno avesse pensato che era bella non l'avrebbe mai detto con convinzione perché lei stesso sembrava ignorare i suoi lati positivi, o peggio, fare di tutto per nasconderli quando non riusciva a distruggerli.
Solo apparentemente tesa verso la novità, l'originalità a tutti i costi, era una città che le cose "nuove", le lasciava fare sempre e solo alle persone vecchie. Non anagraficamente.
Passò accanto a un vecchietto che dava da mangiare ai piccioni, accanto alla fontana all'inizio della passeggiata dei Tigli.
Secondo Noman, i vecchi della città odoravano tutti come suo nonno che in quel momento si faceva un sonno nel loculo numero 79 dell'ala nord-ovest del cimitero di Cartecchio. Le vecchiette, naturalmente, sapevano tutte di crema per le mani, caffè appena fatto e grembiule scolorito e fresco di bucato. 
Forse un po' di crepuscolarismo c'era in tutto questo, pensò, ma pensò anche che gliene importava molto poco e che se anche fosse stato deriso dai ragazzini col taglio alla Adolf per quei pensieri che con la sua persona non dovevano assolutamente entrarci nulla, era finita l'era in cui doveva dichiarare di credere solo a una manciata di dischi, o musicisti o fiche o simboli che dimostrassero - a chi poi? -  la sua vera natura di punk. Noman era abbastanza sicuro di non credere più a niente da anni, e se ricordava se stesso da adolescente, gli tornavano in mente tutte le paranoie, tutta l'inconsapevolezza, ma anche la speranza in quel futuro che a slogan rinnegava. Adesso aveva solo il suo presente, a volte gli piaceva e a volte no. Di sentimenti gliene erano rimasti pochi e sempre e solo per le stesse persone.
Ci ripensò, il caffè non lo voleva. Accese una sigaretta.


                                                                          ....


I'm not real and I deny, I won't heal unless I cry    
I can't grieve so I won't grow I won't heal 'til I let it go
I'm not real and I deny, I won't heal unless I cry



- Come se avessi una canzone dei Cocteau Twins nelle orecchie ogni volta che lo vedo. Sta Elizabeth Fraser che mi canta nella testa, la sento dalle cinque del mattino che mi canta in testa e mi sveglio prestissimo e mi metto a leggere o a guardare la televisione. Ci sono dei programmi assurdi in tv alle cinque del mattino, tipo Primi Baci. Comunque... mo mia mamma pensa che io sia matta, ma non sono matta. Io sono felice.
- Io pure penso che sei matta Chià, però sono felice di vederti così felice.
- Ma io lo so che sono matta Cristì, però non ci posso fare niente...
- Risali oggi pomeriggio a farti un giro?
- Non lo so, forse rimango a casa a leggere
- E dai! scusa magari se esci lo vedi. E' meglio che stare a leggere a casa un libro che ti ha prestato lui e pensare a lui
- Non lo so...
- Madò stai messa male Chià.
- Lo so.