venerdì 31 agosto 2012
Michael J. Fox, il ragazzino che tutti invidiavamo
Pubblicata su www.serietv.cinefilos.it
Alla guida della Delorean era padrone del tempo. Sul palco della scuola di Hill Valley, lanciato in un’anacronisticaJohnny be good, era buffo e allo stesso tempo terribilmente “cool”. È stata accolta nel migliore dei modi da parte di tutti i network americani, la notizia che Michael J. Fox ha comunicato pochi giorni fa. “Torno a recitare, nonostante la malattia”. Sarà un cocktail di farmaci a indebolire il tremore e a permettergli di mostrare il suo talento.
Torna in pista così Marty McFly. In barba a quel morbo di Parkinson che lo infastidisce da troppi anni, e che negli ultimi 10 non gli ha permesso di lavorare come avrebbe voluto. E sarà proprio una serie tv sul suo male, che andrà in onda dal 2013 sulla Nbc, a battezzare il ritorno sugli schermi del ragazzo che sembra non invecchiare mai, malgrado tutto. Forse perché le icone non invecchiano. O perché, nonostante per le generazioni più giovani il suo sia un nome come un altro, non lo è per chi ha sempre desiderato di poter essere nei suoi panni e avere un amico come Doc, lo scienziato pazzo che poteva portarti nel Vecchio West o negli anni 50, a farti conoscere i tuoi genitori quando erano tuoi coetanei. Negli anni 80 Michael J. Fox era il ragazzo più invidiato dai bambini di mezzo mondo. E quegli stessi bambini, oggi diventati grandi, ancora sbagliano e confondono il suo nome con quello di Marty McFly di Ritorno al futuro.
Ma Michael era stato bravo, e furbo. Non era rimasto incastrato nel ruolo, non si era bruciato, né aveva vissuto di rendita. Aveva continuato a recitare per il cinema e per la tv riscuotendo sempre consensi soprattutto nella sitcom Casa Keaton, in film come Il segreto del mio successo e perfino nel drammatico Vittime di guerradi Brian De Palma.
Poi l’arresto. Nel 1991, a soli 30 anni, gli viene diagnosticato il morbo di Parkinson. «Nel novembre del 1990» dichiara lui stesso «mi svegliai e trovai il messaggio nella mia mano sinistra. Non era un fax, un telegramma o un promemoria, la mia mano non conteneva nulla: il tremore era il messaggio». Fox renderà pubblica la notizia solo sei anni dopo. Altri tre ne trascorreranno prima che decida di abbandonare le scene a causa del progressivo aggravarsi delle sue condizioni. Dopo lo stop, vari cammei e partecipazioni come guest star in episodi di Scrubs e The good wife ma soprattutto un impegno costante, tramite la sua fondazione, per finanziare la ricerca sulla sua malattia.
Oggi il ritorno. Rischioso, sicuramente, ma di certo non privo di sorprese. Del resto era proprio lui quello che si voltava verso Beef, il “cattivo” grosso e imbecille di Ritorno al Futuro, dicendogli: “Nessuno… può chiamarmi fifone!”.
Il tempo che non ho
Torno, dopo molto tempo, a inserire qualche articolo su questo blog bistrattato, dimenticato, dai colori infantili, rappresentativi di una persona che, volontariamente, non crescerà mai.
Non sono ancora pronta a riempire questi spazi di me. Ci vorrà del tempo e mi piacerebbe saperlo fare. Ma ci vorrà del tempo.
Intanto inserisco qualcosa del poco che ho scritto nell'ultimo periodo. E che ho cantato, anche.
Recensione di
La Faida (Regia di Joshua Marston)
pubblicata su www.cinefilos.it
Non sono ancora pronta a riempire questi spazi di me. Ci vorrà del tempo e mi piacerebbe saperlo fare. Ma ci vorrà del tempo.
Intanto inserisco qualcosa del poco che ho scritto nell'ultimo periodo. E che ho cantato, anche.
Recensione di
La Faida (Regia di Joshua Marston)
pubblicata su www.cinefilos.it
Il regista Joshua Marston ha un debole per le ragazzine “con gli attributi”. È un debole spontaneo, un’inclinazione naturale che lo spinge a indagare nel mondo di piccole donne che conservano la loro dolcezza e la loro grazia anche se coinvolte in situazioni drammatiche.
Nella sinossi della Faida, l’ultimo film da lui diretto, vincitore dell’Orso d’Argento per la sceneggiatura a Berlino, è scritto che il protagonista è il diciassettenne Nick, interpretato da Tristan Halilaj. In realtà in questa storia che si svolge nella campagna albanese e che documenta le fasi di un violento conflitto tra due famiglie, emerge ancora una volta, così come nel precedente Maria full of grace, un intenso ritratto femminile, quello di Rudina; brillante e intelligente sorella di Nick che si trova costretta a subire le leggi idiote e assurde di un mondo dominato dagli uomini.
Se la colombiana Maria, nella precedente pellicola, aveva il compito di ingerire ovuli di cocaina per portarli da un capo all’altro del mondo, anche a Rudina tocca trasportare e vendere pane e sigarette per assicurare la sopravvivenza alla sua famiglia. Così come la protagonista del primo film, inoltre, la ragazzina albanese, interpretata dalla sedicenne Sindi Laçej, capisce di essere vittima di un meccanismo assurdo e non voluto da lei, ma dimostra una forza silenziosa e conserva sempre la speranza di poter dare una svolta al suo futuro.
Con La faida, prodotto da Portobello production e Fandango, Marston e lo sceneggiatore Andamion Murataj ci mostrano un mondo rurale in cui l’invasione dei moderni mezzi di comunicazione, telefonini e social network, stride con l’atmosfera arcaica di una società ancora basata sul patriarcato e su codici ormai annullati “legalmente” ma diventati ferree regole non scritte. Come il delitto d’onore in Italia, anche le note del Kanun furono infatti messe al bando dal regime comunista di Hoxha, durato circa 40 anni. Dal 2000 circa molti albanesi sono però tornati a farsi giustizia da soli, convinti che lo Stato non faccia abbastanza per punire i colpevoli. Marston dimostra così ancora una volta, di interessarsi a questioni conosciute solo per chi le vive sulla propria pelle e che non hanno eco in altre parti del mondo; e lo fa costruendo un film in cui lo stile documentaristico si alterna ad un gusto per l’inquadratura che fa assomigliare molti paesaggi della campagna albanese a quelli ritratti da Cézanne o Fattori. D’impatto anche la recitazione degli interpreti, tutti non professionisti, e in particolare la resa del rapporto che Nick stabilisce con la sua stessa casa. Un tempo sereno e pieno di vita e interessi, il ragazzo in cattività considera la sua dimora una gabbia e inizia a deturparne mura e pavimenti quasi senza rendersene conto.
Pur non riuscendo a raggiungere la tensione ed il pathos che contraddistinguono certe sequenze di Maria full of grace, La faida mantiene sicuramente alto il profilo di Jushua Marston, il cineasta “metà regista e metà antropologo”.
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